Fosse soltanto per l’analisi del casellario giudiziario, l’elenco dei candidati cosiddetti impresentabili non farebbe altro che esaurire le fattispecie di reato, come si dice in gergo. Abbiamo concussi di Forza Italia, associati a delinquere in area Pd, amministratori trasversali dediti al voto di scambio, truffatori, organizzatori di rivolte, e naturalmente i molti che si usa infelicemente definire «in odore» di mafia. Fosse soltanto per il casellario giudiziario, ci sentiremmo di segnalare il formidabile caso del forzista Raffaele Cardamuro, responsabile napoletano per l’emergenza abitativa: un competente visto che l’emergenza la abitava: casa sua a Bacoli è stata rasa al suolo in quanto abusiva. Oppure faremmo cenno al deluchiano Antonio Amente che ha denunciato tre volte il sindaco di Melito di cui ora è alleato per le tortuose lungo della passione politica. E potremmo arrivare al visto e stravisto estro nella produzione di scontrini per il rimborso, nel caso al calvo Gennaro Salvatore e sostenitore di Stefano Caldoro, di una tintura da capelli.

Ma in fondo la tendenza all’illecito non è soltanto la più controversa ma anche la più noiosa, mentre l’evoluzione ideologica di un Carmine Attanasio, approdato ai Verdi dopo avere navigato con Forza Italia, Italia dei Valori, Rivoluzione civile, Rifondazione comunista e Pd, dice molto più della politica italiana di un migliaio di avvisi di garanzia. Il fuoriclasse della disciplina è il noto candidato Gian Mario Spacca, governatore di centrosinistra delle Marche dal 2005 al 2015, e ora campione di una lista civica appoggiata dai berlusconiani. Nella speciale classifica occuperebbero una posizione di prestigio Carlo Aveta, storaciano passato a Vincenzo De Luca, il missino Euprepio Curto ora col Pd pugliese di Michele Emiliano, e l’attrattiva di Emiliano è indiscutibile considerato il numero di ex forzisti e pidiellini ora militanti nel centrosinistra. Di percorsi simili se ne potrebbero illustrare a decine, e però diventa tutto inutile quando si analizzano le alleanze variabili di liste e partiti che si innalzano al livello di capolavoro nel patto ligure stretto da Angelino Alfano e Matteo Salvini: appena varcati i confini i due riprendono a darsi vicendevolmente dei cavernicoli.

Poi, però, ci sono i candidati più razzolanti, quelli alla Gerardo Bevilacqua, in corsa per fare il sindaco a Cerignola e ospitato sui maggiori quotidiani nazionali per la propaganda in pugliese verace: «Uagliù, nou seim cume vou! Tutt insim c la puteim fall!».

La traduzione non è fondamentale, basta sapere che Bevilacqua promette di abolire la disoccupazione perché da ragazzo era «una ladro di galline», e ai giovani ladri non si dà la galera ma un lavoro. Bevilacqua sta al vertice ma sotto di lui si muove un popolo infinito: ecco Lorenzo Rosso, di F.lli d’Italia, sul cui manifesto c’è scritto «a Siena il Rosso c’è»; ecco Francesco Agati, forzista di Gela, il quale si definisce da sé un «professionista dell’antimafia»; ecco che a Vicenza i manifesti avvertono: «Votare Putin? Ora puoi!», e trattasi di Adelina Putin, in lista con F.lli d’Italia; ecco il casiniano Paolo Farina ritratto con un bosco al posto dei capelli perché lui è uno «con il verde in testa»; ecco Gino Giorgione, in lista con Emiliano e con la siringa sul santino perché lui è «un’iniezione di fiducia»; ecco Alberico Gambino, altro meloniano, il cui motto è «fà bene e scuordate»; ed ecco, infine, anche il pazzerello a cinque stelle Ottavio Argenio, aspirante sindaco di Chieti sulle ali dello slogan «lu cavalle bbone se vede a lu Richiappe», dal nome della località dov’era il traguardo di una corsa di cavalli berberi. Beh, non l’abbiamo capita, ma non è così importante.

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