Incidente Roma, il padre dei rom: guidavo io, ero ubriaco

Incidente Roma, il padre dei rom: guidavo io, ero ubriaco
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Venerdì 29 Maggio 2015, 07:55 - Ultimo aggiornamento: 30 Maggio, 09:01

Nessuno sa dove sono, nessuno riesce a contattarli. I due ricercati che mercoledì sera erano a bordo dell'auto che ha ucciso una 44enne filippina e ferito altre 8 persone alla fermata dell'autobus sembrano essersi volatilizzati nel nulla anche se al campo della Monachina, dove risiedono, sono sicuri che presto si consegneranno.

Almeno così dice la sorella del 16enne marito della ragazza di 17 anni arrestata ieri ed interrogata oggi dal giudice che ne ha convalidato l'arresto, con l'accusa di concorso in omicidio volontario.

La stessa che pende sulle teste del giovanissimo sposo e dell'altro passeggero che la sera di mercoledì era sull'auto piombata a folle velocità sul gruppo di persone alla fermata dell'autobus. Intanto il premier Matteo Renzi chiede «alle forze dell'ordine di intensificare ogni sforzo perchè quei tre o quattro che erano sulla macchina che ha ucciso una donna a Roma siano catturati. Prendo un impegno: non saremo tranquilli finchè non avremo assicurato alla galera quelle persone che hanno distrutto la vita di una donna».

Gli investigatori escludono che il passeggero - come invece affermato dai familiari - sia il padre del ragazzo, che proprio ieri sera si è autoaccusato dell'incidente. «C'ero io alla guida dell'auto sono stato io. Mi dispiace ma ero ubriaco», parole poco convincenti per gli investigatori tanto che potrebbe rischiare il favoreggiamento. Oggi al campo sul cavalcavia della via Aurelia nessuno ha voglia di parlare. Le camionette della polizia hanno sorvegliato la struttura per l'intera notte, per paura di eventuali ritorsioni nei confronti della comunità nomade. Soprattutto alla luce del ritrovamento di quattro bottiglie incendiarie vicino alla fermata Battistini della metro, dove è avvenuto l'incidente mortale. «Abbiamo paura che qualcuno possa passare qui sula strada e lanciarci qualche molotov dentro - dicono i residenti del campo -, per fortuna ora c'è la polizia, speriamo non accada nulla quando andranno via».

Tra le baracche e le roulotte si rincorrono le voci sui fuggitivi. A chi chiede dove possano esser fuggiti, qualcuno guarda in aria, qualcun altro volta le spalle e se ne va. Lo scuolabus continua a fare avanti e indietro per accompagnare e riprendere i primi bimbi che oggi sono tornati a scuola. Nel suo tragitto passa anche su via Battistini, dove la cera ricopre il marciapiede dove si è schiantata l'auto. Le candele della veglia in ricordo di Cory Abordo, la 44enne filippina vittima dell'incidente, non ci sono più. Ci sono però ancora i mazzi di fiori a ricordare a chi passa la tragedia di mercoledì sera. Il fuoco delle candele ha illuminato stasera anche il Campidoglio, dove la comunità filippina si è riunita in preghiera insieme con il vicesindaco della Capitale, Luigi Nieri, e la giunta guidata da Ignazio Marino, ancora negli Stati Uniti, dove nei giorni scorsi ha ricevuto una laurea honoris causa.

Inevitabile prosegue ancora oggi la polemica politica, con le immancabili parole al vetriolo del leader del Carroccio, Matteo Salvini. «Visto che abbiamo i delinquenti italiani non apriamo le porte anche agli altri delinquenti del mondo - ha detto -. Non ne posso più di campi rom, non esistono più in nessun Paese europeo. Se andiamo al governo noi in sei mesi gli azzeriamo tutti». Parole che hanno irritato non solo il mondo politico ma anche quello dell'associazionismo, con la responsabile della «Fondazione Rom-Sinti Insieme», Dijana Pavlovic che paragona il segretario della Lega a Hitler. «L'incitazione all'odio e la propaganda che fa - dice - è molto simile a quella successa in Germania negli anni Trenta».