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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2014 alle ore 12:08.
L'ultima modifica è del 23 ottobre 2014 alle ore 13:18.

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«Non possiamo restare prigionieri di paralisi e impedimenti. I cambiamenti sono essenziali». Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un lungo discorso pronunciato ricevendo al Quirinale i nuovi Cavalieri del Lavoro. Il capo dello Stato ha ribadito la necessità di «riforme strutturali» ma ha anche lanciato un appello all’Europa, nel giorno in cui è arrivata la lettera di Bruxelles con la richiesta di informazioni aggiuntive sulla manovra 2015. «Tocca all’Ue imboccare ora la strada di politiche decisamente orientate alla crescita», ha affermato Napolitano. Perché tutti «accusano i colpi della stagnazione, se non di deflazione».

Insofferenza per vecchi assetti: servono cambiamenti veri, non paraventi
«Perché il nostro Paese esca dalla crisi e torni a crescere libero da zavorre, dobbiamo tutti mettercela tutta». Con un messaggio positivo, ha sostenuto il presidente della Repubblica, «perché si sta diffondendo un senso di insofferenza per il trascinarsi di vecchi assetti strutturali e di potere e insieme di determinazione forte a non fermarsi per strada nel perseguire le riforme». Napolitano ha rivendicato con forza il suo ruolo di garante, anche contro cambiamenti “finti”: «Io continuerò a svolgere il mio ruolo di garante dell’unità nazionale, di tutore di regole che siano realmente tali e non paraventi tesi a difendere l’esistente. Continuerò a operare in questo senso nei limiti delle mie forze».

Dalla politica troppi «atteggiamenti frenanti»
Le riforme strutturali, insomma, «non sono rinviabili». Il presidente ha snocciolato i «clamorosi segni di negatività nella vita del Paese: dalla corruzione nel pubblico e nel privato alla criminalità, dalla scarsa funzionalità di troppe amministrazioni centrali e locali, alla regressione in senso becero e violento dei comportamenti di individui e di gruppi asociali, fino alle degenerazioni eversive vere e proprie». Da qui l’esortazione «alla società e ai ceti dirigenti del Paese» a una «comune consapevolezza della responsabilità da assumersi per realizzare i processi di cambiamento». Stigmatizzando le resistenze al cambiamento che arrivano dalla politica: «Sul piano politico, e con gravi implicazioni per la vita delle istituzioni, le troppe contrapposizioni pregiudiziali, l’incapacità di dialogo e di intesa, gli atteggiamenti frenanti o di vero e proprio rifiuto rispetto a scelte concrete di riforma, sono stati l’espressione di conservatorismi, corporativismi e ingiuste pretese di conservazione di posizione di rendita, di ingiuste posizioni acquisite».

Consulta, «ho dato esempio dovuto e severo»
Il presidente non ha rinunciato a fare l’esempio dello stallo per l’elezione dei due giudici costituzionali da parte del Parlamento in seduta comune che non è riuscito a indicare i nomi per ben venti votazioni. Un clima, ha detto, che «ci è toccato vivere con pena», ricordando come «al capo dello Stato non è rimasto che dare un esempio dovuto e severo procedendo alla nomina di giudici di mia competenza con scelte imparziali e miranti a un minimo riequilibrio di genere anche in quella sede».


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