I grandi luoghi dell'arte italiana: Bernini alla Galleria Borghese, il teatro della scultura
La carriera e l'arte di Gian Lorenzo Bernini si possono riassumere nel close up della mano di Plutone che affonda nella coscia di Proserpina. Sembra vera carne, ma invece è marmo. E tutta l'arte di Bernini è così, la continua illusione di trovarsi di fronte a qualcosa che sia effettivamente viva e respiri: dopotutto lui stesso affermava che “l'arte sta in far che il tutto sia finto e paia vero”. Per dimostrarlo è sufficiente prenotare il proprio ingresso alla Galleria Borghese a Roma: qui, senza farsi troppo distrarre da Canova, Tiziano e Caravaggio (ci sono anche loro in questo museo che vanta un'altissima concentrazione di capolavori), ci si può ritrovare in breve a credere fermamente che le sue sculture si siano solo per un attimo bloccate di fronte a noi, e che ricominceranno a muoversi non appena volteremo loro le spalle.
Per capire bene come arriviamo a questi vertici illusionistici facciamo un passo indietro: quella di Bernini è una vita da predestinato. Scultore anche il padre Pietro, il piccolo Gian Lorenzo mostra da subito tutto il suo talento e comincia a far parlare di sé nel giro della Roma conta e a far breccia nel cuore di papa Paolo V Borghese e del suo potente nipote Scipione, che è il vero Pigmalione del nostro eroe. Sarà lui infatti, rivelando un gusto ed una competenza sopraffina in fatto d'arte, ad acquistare o a commissionargli i gruppi scultorei che ancora oggi possiamo vedere nel museo: Enea con Anchise e Ascanio (che secondo alcuni rivela ancora la collaborazione col padre Pietro), il ratto di Proserpina, David, Apollo e Dafne. In tutti c'è la stessa concezione teatrale dell'arte: le figure, scolpite in maniera talmente magistrale da riuscire a suggerire con il marmo la morbidezza della coscia di Proserpina o tutte le rugosità della corteccia che sta per intrappolare Dafne, recitano la loro parte di fronte allo spettatore, che anzi è chiamato a far parte del gioco, trovandosi sulla linea di tiro che contrappone un concentratissimo David ad un invisibile Golia, che immaginiamo essere proprio dietro di noi: se non stiamo attenti, quel sasso potrebbe colpirci.
E se le sue sculture si muovono, i suoi busti ritratto addirittura parlano: Scipione Borghese ha per esempio fatto una corsa perché forse era in ritardo, non si è nemmeno allacciato per bene la veste (un bottone è malamente infilato nell'asola ed il colletto è un po' sghembo sul collo) ed ha appena aperto bocca per parlare con qualcuno che immaginiamo accanto a lui. Uno dei suoi biografi scrisse che “nel ritrarre alcuno non voleva ch'egli stesse fermo, ma che si movesse e che parlasse, perché in tal modo diceva egli che vedeva tutto il suo bello”. Come dargli torto?
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