Chiara Obino e l'apnea: una vita in profondità

44 anni, dentista, due figlie, un marito e un palmarès di record su record nel mondo dell’apnea. Tra le cinque donne al mondo che hanno raggiunto i 100 metri sott’acqua, Chiara ha trovato nella disciplina il suo personale rifugio dal mondo
Chiara Obino e l'apnea una vita in profondità

Quando riemergi da una profondità di cento metri è come venire al mondo una seconda volta. Nel viaggio verso gli abissi Chiara Obino ha trovato il senso del tutto. E ripetiamo “nel viaggio”, perché la meta e l’obiettivo sono gli incentivi che invogliano alla sfida, ma è quell’incidere verso il centro del mondo a essere la chiave tra distacco e unione con il tutto. Così almeno secondo quello che ci racconta la pluricampionessa cagliaritana.

Insignita della Medaglia d'Oro al valore sportivo dal CONI, Chiara Obino è insieme ad Alessia Zecchini, una delle due atlete della Nazionale Italiana di Apnea Outdoor: la loro disciplina è la profondità in apnea dove Chiara compete con le due pinne, specialità di cui è campionessa italiana da parecchi anni con tanto di record ancora insuperato, ma anche con la monopinna. All’attivo ha i titoli di otto campionati italiani assoluti , un oro, un argento e un bronzo ai Campionati del Mondo, tre record del mondo e 8 record italiani.

La vita di questa donna di Sardegna, però, non è tutta mare e meditazione visto che il suo essere atleta si incastra con un lavoro da dentista, libero professionista e titolare di uno studio a Cagliari, la sua città, due figlie, Camilla e Cecilia, un marito e 44 anni di età. E dice che questo sarà il suo ultimo anno da atleta. Lo diceva anche l’anno scorso e pure l’anno prima. La verità è che Chiara dal mare non riesce a stare lontana, ancora meno dalla voglia di raggiungere il profondo.

«Nell’apnea, la parola chiave, inutile dirlo, è profondità», racconta l’atleta cagliaritana. «Quello che mi ha avvicinato a questa disciplina è stata la ricerca costante dell’andare a fondo nelle cose. Cercavo di approfondire chi ero, cosa desideravo davvero da me e da questo mondo. Sapevo che avrei fatto il dentista e avrei avuto una famiglia, ma al di là di questa progettualità di fatti avevo bisogno di portarne avanti anche una mentale. Ecco, qui si è inserita l’apnea, nella ricerca di uno stimolo per guardarmi dentro».

L'amore per l'apnea Chiara Obino l'ha sempre avuto, il suo contatto con l’acqua salata è stato costante grazie alla barca di papà con cui passava lunghe giornate in mare aperto e da cui si tuffava per arrivare ogni giorno un po’ più giù. Ai tempi non esistevano scuole di apnea e atleti come Umberto Pelizzari erano solo degli “appassionati”. Fino a quando proprio il campione italiano ha dato vita alla prima struttura dove insegnare questa arte, perché di questo si tratta.

«Io ero all'Università. Dopo che mi sono laureata in odontoiatria, ho fatto il mio primo corso di apnea ed è esplosa la passione. MI piaceva tantissimo ed ero anche abbastanza capace di farlo. Sono poi diventata istruttore e infine mi sono interfacciata al mondo dell’agonismo. Pelizzari era il mio punto di riferimento , volevo carpirne i segreti perché miravo a diventare un'atleta».

La prima gara arriva ai suoi 30 anni, sul Mar Rosso. Un sogno grandissimo che mai avrebbe pensato di realizzare. Subito dopo sono arrivati i Mondiali a Hurghada nel 2006 e così prende il via la sua carriera che ancora sembra non finire. Lo scorso anno ha conquistato i 100 metri con monopinna, una misura molto significativa che solo cinque donne nel mondo sono riuscite a conquistare.

«Ho cominciato ad andare sott’acqua in modo serio “da grande”, forse è per questo che ho un approccio così filosofico alla disciplina. L’apnea vuol dire per me rispondere a tanti interrogativi e analizzarmi in maniera approfondita, incontrare i miei limiti e soffermarmi per capire perché a volte non riesco a superarli. Una sorta di percorso di autoanalisi che si compie in un ambiente favorevolissimo a me amico, che amo da sempre. E questo ha rappresentato il compimento delle mie aspirazioni più profonde».

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Nel 2009 prima e nel 2011 poi, arrivano le due figlie di Chiara Obino. «Ho sempre avuto paura che la gravidanza potesse inficiare la mia vita agonistica. Ero terrorizzata, ma ho girato questa paura a mio vantaggio. Cosa posso fare per tornare in mare il prima possibile? Mi sono allenata in tutta la gravidanza, compreso il giorno del parto, sono uscita dall'acqua e sono entrata in travaglio. Appena mi sono ripresa sono tornata in mare e parlo di un mese di un mese di tempo. Andavo sott'acqua e quando ne uscivo allattavo. Mi sono fidata solo di me stessa decidendo di non ascoltare chi provava ad allontanarmi dal mio sogno».

«Ammetto di essermi un po' chiusa in quel periodo, avevo bisogno di ascoltare solo me e provare a capire se ero in grado di fare quello che stavo facendo visto che non c'erano degli studi e nessuno lo aveva mai fatto. L'ho fatto in maniera consapevole e totalmente connessa con me stessa e devo ammettere che è andata bene. In tutto questo processo è stato importante mio marito: compagno di vita e di avventure che mi ha sempre sostenuto, in ogni scelta, anche la più fuori dal comune, e che continua ad offrirmi sostegno incondizionato».

Oggi si allena dalle 7 alle 10 ore a settimana, poche rispetto alle sue “avversarie” professioniste che seguono tabelle ben più serrate. «Continuo a pensare che l’elemento più importante sia l’allenamento mentale. Riuscire a fare il vuoto nella testa e allontanare ogni pensiero per essere davvero efficace è qualcosa di difficile e cerco di dedicarmici con strumenti nuovi per passare velocemente da uno stato di attivazione a uno di disattivazione, meditazione, flusso del pensiero. Quando sei atleta di alto livello è dato per scontato che ti alleni. Il differenziarti è un fatto mentale. Nell'apnea serve la testa, ci sono componenti di paura molto forti: la paura di morire può coglierti da un momento all’altro, perdi il controllo puoi essere presa da altre emozioni che ti rendono difficile qualsiasi cosa e sott’acqua questo non si perdona. Non può esserci scompaginamento tra anima a quello che stai facendo. Se perdi il focus ti puoi trovare in una situazione di pericolo per questo bisogna riuscire a restare nel momento, senza autovalutazioni, ma concentrati senza pensare alla superficie, né alla stanchezza: questi sono pensieri che non possono entrare».

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Il suo è uno sport che ha a che fare con la solitudine che Chiara vive come una sensazione molto positiva per il suo bisogno di fermarsi rispetto a un mondo frenetico, che va veloce. Come dentista incontra gente tutto il giorno e sott’acqua prova a ritrovare il suo equilibrio. Arriva il momento di dire basta? «Non lo so, me lo sto chiedendo. Quando sono in mezzo alla stagione mi frulla il cervello e mi chiedo chi me lo fa fare, poi, quando è davvero finita, l'idea di smettere mi fa venire un senso di vuoto. E per questo mi sto riempiendo la vita di altro. **Mi sono avvicinata al public speaking ** per provare a raccontare la mia storia e spero ispirare chi, come me, è sempre alla costante ricerca di risposte e di giuste domande».