22 marzo 2018 - 17:07

Mario, malato di Parkinson a 39 anni
«Prendo 3.000 pastiglie l’anno»

Mario Vegliante convive da 8 anni con questa patologie invalidante. In un libro racconta con ironia la difficoltà di ogni giorno: «Allacciarsi le scarpe è una sfida»

di Maria Giovanna Faiella

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Mario Vegliante
Mario Vegliante

«Pur avendo solo 47 anni, sono parkinsoniano ormai da otto. Dopo mesi di fastidi a una gamba, inutile fisioterapia e svariate risonanze, trovai un neurologo illuminato che mi prescrisse un datscan, esame diagnostico con un mezzo di contrasto radioattivo finalizzato a capire l’eventuale presenza di malattie neurodegenerative. Ricordo quel giorno come fosse ieri, e come se fosse di sei, sette vite fa». A raccontarlo nel libro autobiografico «La mia vita e Mr. Park» è Mario Vegliante, uno dei trentamila italiani che si sono ammalati, prima dei quarant’anni, di morbo di Parkinson, malattia neurodegenerativa causata dalla progressiva morte dei neuroni che producono dopamina, il neurotrasmettitore che controlla i movimenti. Così arrivano tremori, rigidità, lentezza nei movimenti, disfagia e altri sintomi, fino alla perdita dell’autonomia. Si stima che nel nostro Paese soffrano di Parkinson oltre 250mila persone, di cui 75mila con meno di cinquant’anni, 30mila con meno di quaranta.

Non solo anziani

«Nell’immaginario collettivo c’è ancora la percezione errata che il Parkinson sia la malattia degli anziani – dice l’autore di «La mia vita e Mr. Park», alla sua prima opera letteraria – . Ho voluto testimoniare, anche con un po’ di autoironia, ciò che mi è accaduto e che mi sta accadendo, non lo racconto per un vezzo autobiografico ma semplicemente per informare su una malattia che colpisce anche in giovane età e far capire l’impatto di Mr. Park nella vita di tutti i giorni». Per una persona che soffre di Parkinson anche i piccoli gesti quotidiani, come abbottonarsi una camicia o allacciarsi le scarpe, diventano una sfida. Racconta Vegliante: «La giornata diventa tutta una “variabile”, le uniche certezze sono che convivi coi dolori, la spossatezza, con quelle fantastiche vertigini, come quando scendi da una barca dopo un paio di millenni di mare agitato. Prendo otto pillole al giorno, circa tremila l’anno, ma per quanto la terapia possa aiutarti, non copre tutte le 24 ore perché ci sono dei buchi tra un’assunzione e l’altra di levodopa (principio attivo fondamentale nella terapia contro il Parkinson)». 

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Una vita piena

Ad oggi, infatti, non esiste una cura risolutiva, e la speranza dei circa 12 milioni di malati in tutto il mondo è nella ricerca. Dice Vegliante: «Che sia stata contratta per motivi genetici o ambientali non importa, che la soluzione arrivi dalle cellule staminali o altro non importa: c’è un esercito di affamati di dopamina di tutte le età, classi sociali, lingue, colori della pelle, che ripongono nella scienza e nella ricerca la speranza di potersi nutrire. Milioni di persone piene di vita che vorrebbero una vita piena». 

Il libro
Il libro

Cocktail micidiale

Nel libro, oltre al racconto, si alternano intermezzi di leggerezza, poesie, rime e immagini. L’autore descrive i cambiamenti personali che ha dovuto affrontare in seguito alla malattia come un «cocktail micidiale a base di perdita della salute, della famiglia, del lavoro, il tutto guarnito dal gioco d’azzardo», effetto collaterale dei farmaci assunti. «Se ne parla poco ma c’è scritto sul bugiardino che possono provocare la ludopatia – spiega Vegliante – . Nel giro di cinque anni sono passato da “Io non gioco neanche la schedina così vinco tutte le settimane” a “Finché non perdo tutto non torno a casa”. Al Sert, dove sono andato per curarmi, mi hanno detto: “Ma perché non la smette di sorridere quando si racconta? C’è poco da ridere nella sua situazione”. Ho iniziato a urlare: la mia ironia è sacra, non si tocca! È frutto non della superficialità ma della sopravvivenza». 

L’importanza del rapporto medico-paziente

È un bel rapporto, invece, quello con i medici che lo curano. «Con loro si è instaurato nel tempo un doppio rapporto, sia quello tra medico e paziente che quello da persona a persona – racconta l’autore di Mr. Park – . Sarà un luogo comune ma è veramente fondamentale che ci siano entrambi, perché senza una terapia eccellente duri meno e peggio, ma anche senza un rapporto eccellente». La malattia che ha sconvolto la vita dell’autore al tempo stesso gli sta facendo trovare anche la forza di reagire. «La scrittura è diventata terapeutica – spiega Vegliante – . Ripercorrere le tappe della mia vita, maneggiando con cautela il dolore e la sofferenza accumulati, mi sta aiutando a rimettere un po’ di ordine, a stabilire le priorità. A volte ho paura di quello che è e di quello che sarà, e desidererei solo potermi svegliare una mattina e dire: come mi sento bene. Non so come vivrò la fase avanzata, cerco di non pensarci. Nel frattempo, ho sviluppato un pensiero: se cadi e non ti puoi rialzare la vera forza è camminare in ginocchio».

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