Milano, 26 aprile 2017 - 16:35

Il Parkinson nasce dall’intestino?

Si susseguono le ricerche che «legano» la malattia nervosa a fenomeni
che si verificano nell’apparato digerente

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Arriva dallo studio di un gruppo internazionale diretto da Bojing Liu al Karolinska Institutet di Stoccolma, appena pubblicato sulla rivista scientifica Neurology, la conferma indiretta di quanto Heiko Braak della Goethe University di Francoforte aveva indicato per primo, e cioè che la malattia di Parkinson inizia a svilupparsi a partire dall’intestino, dove comincerebbe a formarsi l’alfa-sinucleina, proteina alterata che rappresenta ormai il marker distintivo di questa malattia. La sinucleina si propaga come i prioni della mucca pazza, cioè con un effetto domino che altera geometricamente le proteine, tanto che oggi si parla di sinucleina prionoide, la quale, persa la struttura a elica, converte le altre in microammassi non funzionali, con un effetto che si propaga verso la corteccia cerebrale.

Tagliare la strada

I ricercatori di Stoccolma, insieme a quelli dell’Università di Los Angeles, dell’Orebro University Hospital e della Michigan State University hanno verificato in che misura tagliare la strada a questa catena di eventi possa bloccare la malattia. Esaminando infatti una coorte di 4.930 pazienti vagotomizzati, ricavati dallo speciale Registro svedese dei pazienti sottoposti fra il 1970 e il 2010 a sezione del vago, intervento usato ad esempio nel trattamento dell’ulcera soprattutto duodenale (il nervo vago è il principale fascio nervoso di collegamento fra visceri e centri cerebrali superiori), sono andati a verificare quanto ciò avesse influito sull’incidenza della malattia, scoprendo che effettivamente questa si riduceva dal valore di 67,5/100mila/anno rilevato nei soggetti di controllo a 61,8 rilevato nei soggetti vagotomizzati. La vagotomia quindi non elimina la malattia, ma quantomeno ne determina un rallentamento, riducendone il rischio. Trattandosi del primo studio su questo aspetto occorreranno nuove conferme, ma gli stessi ricercatori indicano che le differenze temporali rilevate nell’effetto dell’intervento potrebbero essere spiegate dal fatto che la malattia può originare anche da altre aree del sistema nervoso e quindi tagliare la strada nervosa all’alfa-sinucleina che arriva dall’intestino può bloccare il maggior afflusso di proteine malate, ma non può fermare anche quelle che arrivano ad esempio dalla ghiandola sottomandibolare o dal bulbo olfattivo, tant’è vero che anche i disturbi olfattivi sono un altro marker precoce della malattia di Parkinson.

Microbiota

Dal canto suo, in uno studio pubblicato nel 2011 su Movement Disorders dal gruppo diretto dell’attuale presidente della SIN (Società Italiana di Neurologia) Leandro Provinciali, di Ancona, ha focalizzato l’attenzione sul microbiota intestinale. Nei pazienti parkinsoniani le anomalie della motilità intestinale favorirebbero un eccessivo sviluppo dei batteri del piccolo intestino, che notoriamente costituisce una zona di passaggio fra il poco popolato stomaco e la lussureggiante flora batterica del colon, sede della maggiore concentrazione microbica, con oltre mille cellule per grammo di contenuto intestinale. In genere la colonizzazione batterica è soppressa dalla velocità del transito intestinale e da sostanze antibatteriche come enzimi e sali biliari, ma nel parkinsoniano i problemi di peristalsi cui è legata anche la stipsi inibirebbe tali fattori.

Conferma

L’importanza della stipi come marker precoce è stata confermata l’anno scorso anche sull’European Journal of Neurology dal gruppo di Carlo Colosimo, di Terni, che riprende le tesi di Heiko Braak dell’alterazione prionica dell’alfa-sinucleina e quelle di John M. Woulfe sul riscontro della proteina nella mucosa dell’appendice intestinale, indicando come la stipsi possa rappresentare la manifestazione delle alterazioni intestinali che si verificano col progredire della malattia, e che potrebbe esserci la possibilità di utilizzarlo come “marker” clinico nelle fasi iniziali, da rilevare non solo tramite biopsie, ma anche utilizzando le moderne metodiche di visualizzazione strumentale.

Olfatto

I ricercatori che hanno appena pubblicato su Neurology sottolineano che il loro intervento può tagliare la strada nervosa all’alfa-sinucleina che arriva dall’intestino, bloccando il maggior afflusso di proteine malate, ma non può fermare quelle che arrivano ad esempio dalla ghiandola sottomandibolare o dal bulbo olfattivo, tant’è vero che anche i disturbi olfattivi con calo dell’olfatto sono un altro marker precoce della malattia di Parkinson.

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