Facebook non tocca i post di Trump e i lavoratori scioperano

Sciopero virtuale di centinaia di dipendenti contro la decisione di Mark Zuckerberg di non intervenire sulle dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti

Facebook è di nuovo al centro delle polemiche e questa volta sono gli stessi dipendenti del social a criticare la sua leadership. Negli Stati Uniti tra i 400 e i 600 lavoratori del colosso di Menlo Park hanno infatti deciso di aderire a uno sciopero virtuale proclamato lunedì primo giugno via Twitter come forma di protesta contro la decisione del fondatore e amministratore delegato della piattaforma, Mark Zuckerberg, di non prendere provvedimenti sulle dichiarazioni del presidente americano Donald Trump in merito agli scontri e alle proteste che stanno attraversando il paese dopo la morte del 46enne afroamericano George Floyd durante l'arresto da quattro agenti a Minneapolis.

Il caso si intreccia quindi a quello dello scontro aperto tra Donald Trump e il social network Twitter, che nei giorni scorsi ha deciso di segnalare alcuni tweet del presidente con l'avviso di verificare i fatti e di oscurare quello in cui invocava l’uso della violenza sui manifestanti scesi nelle strade per protestare contro le discriminazioni e l’eccessivo uso della forza da parte della polizia nei confronti degli afroamericani. In quei commenti, postati sia su Twitter sia su Facebook, Trump aveva scritto: *“quando iniziano i saccheggi, si inizia a sparare”*.

Mentre Twitter, però, prendeva una posizione netta nel condannare le affermazioni del presidente Trump, che immediatamente ha firmato un ordine esecutivo per ridurre di fatto la protezione legale delle piattaforme in caso di decisioni in merito alla censura dei contenuti pubblicati, da parte di Mark Zuckerberg, invece, la posizione è stata decisamente più morbida. Il fondatore di Facebook ha infatti deciso di criticare piuttosto la decisione di Twitter in nome di una assoluta difesa della libertà di espressione.

Questo atteggiamento è però parso troppo poco coraggioso a molti lavoratori di Facebook, che hanno quindi preso apertamente le difese di Twitter, appoggiando la scelta della piattaforma di segnalare come violente quelle dichiarazioni. Tra coloro che hanno incrociato le braccia e hanno promosso lo sciopero c’è anche Ryan Freitas, responsabile design del News Feed di Facebook, che ha dichiarato “Mark sbaglia e proverò in ogni modo a fargli cambiare idea. Inoltre, i dipendenti che si sono mobilitati chiedono anche le dimissioni di Joel Kaplan, che in Facebook riveste il ruolo di vicepresidente del settore global policy ed è stato in passato collaboratore di George W. Bush ed è un simpatizzante del presidente Trump.

In alcuni casi, un dipendente di Facebook ha anche deciso di lasciare il social in segno di dissenso verso una politica sui contenuti che in questo caso si è dimostrata troppo ambigua. La maggior parte dei lavoratori che hanno aderito allo sciopero ritengono che i post del presidente Trump violino la politica dell’azienda, che stabilisce di rimuovere ogni forma di “linguaggio che inciti o favorisca comportamenti violenti”. Al momento però, come riporta Cnbc, da parte dei vertici dell’azienda non sembrano esserci ripensamenti sulle decisioni prese in questa vicenda.