Ritornano, ritornano. Avrebbero potuto riempire 100 treni dell’alta velocità i meridionali rientrati dal Centro Nord al Sud negli ultimi mesi. Sono quelli dello <smart working>, il lavoro (o lo studio) a distanza. Anzi del <South working>, lavoro (o studio) a distanza stando al Sud. La Svimez ne ha calcolati 45 mila finora, spinti anche dal virus. Ma sono in effetti non meno di 100 mila. E sono la più grande svolta per il Sud negli ultimi decenni. Perché la loro presenza al Sud è il futuro che il Sud aveva perso. Perché ripopolano il Sud. Perché rafforzano al Sud una società civile privata di loro. Perché sulla loro spinta il Sud avrà più forza nel pretendere una parità finora preclusa da un investimento pubblico dello Stato che ha sempre privilegiato il Centro Nord. Più forza per pretendere una qualità della vita migliore. Bentornati al Sud, pur continuando a lavorare per imprese del Nord e a studiare in università del Nord.

Si dice che i giovani debbano avere <piedi leggeri>, conoscere il mondo. Ora hanno anche ali tornanti. Fra il 2000 e il 2017 sono stati 2 milioni gli emigrati dal Sud. La metà non era tornata. Solo nel 2017 erano andati via in 132 mila, oltre la metà giovani, più di un terzo laureati. E le grandi aziende del Centro Nord che si sono affidate al lavoro da remoto, vedono ora il 3 per cento dei propri dipendenti lavorare dal Sud.
La stessa Svimez ha calcolato che la loro vita al Nord costasse al Sud 3 miliardi l’anno. Non solo fitti, alloggi, tasse al Centro Nord per chi cambia residenza. Ma anche tutti quei consumi sottratti al Sud e che arricchiscono il sistema produttivo del Centro Nord. Più i soldi che quasi sempre gli mandano i genitori almeno all’inizio (soprattutto agli studenti). Insomma ogni emigrato contribuisce suo malgrado ad allargare il divario.
Ma non solo una perdita economica. Anche una perdita sociale. Non c’è famiglia che non ne abbia uno andato via come quando a fine ‘800 se li prendeva tutti LaMerica. E lasciamo stare la retorica che se ne vanno i migliori, i cosiddetti cervelli. Se ne vanno in gran parte i giovani, e in buona parte con titolo di studio. Quelli che costituiscono appunto una società civile che non può essere formata in maggioranza da anziani con scarsa propensione a progettare. Quelli che sono appunto il domani di un Sud che chissà quanto ne ha bisogno essendo povero di capitale sociale come effetto del disagio economico. Chi torna è quel capitale sociale. Potendo partecipare alla vita della sua città, del suo quartiere, della sua comunità pur lavorando per il Centro Nord. Torna chi potrà essere la futura classe dirigente del Sud.
Il Covid sta chiudendo tutto ovunque. Ma sembra ancòra più svuotata una città come Milano che in vent’anni aveva guadagnato 100 mila residenti da tutta Italia. Il numero delle stanze sfitte rispetto al 2019 è aumentato del 290 per cento, del 270 a Bologna, del 180 a Padova. Sono le stanze e i piccoli appartamenti nei quali vivevano i terroni ora andati via. E la loro partenza ha contribuito a ridurre a Milano fino al 75 per cento il fatturato dei locali che essi frequentavano. Un intero sistema che in parte si trasferisce al Sud.

Secondo l’Associazione <South Working> nata a Palermo, l’85,3 per cento degli intervistati tornerebbe a vivere al Sud. Ma neanche questa volta è mancata la contrapposizione fra un Centro Nord che finora ha avuto sempre di più e il Sud che ha avuto sempre meno, come dimostrano gli stessi Conti pubblici territoriali del ministero. Chiedendo le imprese centro-settentrionali, per attivare ulteriormente il <South Working>, incentivi fiscali e contributivi, crediti di imposta, diminuzioni dell’Irap, pur essendo per loro il lavoro a distanza un vantaggio economico in minori spese generali e non solo. Mentre molto più giustificate sono le richieste di quelli che tornano o vorrebbero tornare. E vorrebbero trovare al Sud una situazione diversa da quella che ha contribuito a farli andare via. E cioè asili nido per i figli. Migliore sanità. Trasporti più efficienti. Scuole più funzionali. Tutto ciò che hanno trovato al Centro Nord dato che lì la spesa pubblica dello Stato per ogni cittadino è superiore di circa 4 mila euro l’anno rispetto a quella per un cittadino del Sud.
Che lo chiedano, è una energia in più perché il Sud ottenga quei pari diritti di cittadinanza finora negati in un Paese in cui essere pugliese o lucano non è la stesso che essere lombardo o veneto. Si può formare al Sud un nuovo blocco sociale capace di fare politica. Di uscire dalla convinzione che non si possa fare più nulla. Forse è meglio non eccedere con le pur sacrosante aspettative. Ma è legittimo sperare che ora al Sud <possano accadere cose>.

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