Facebook, rivolta contro Zuckerberg Silicon valley contro i post di Donald

Mercoledì 3 Giugno 2020
IL CASO
NEW YORK Il tentativo di Mark Zuckerberg di tenere il suo Facebook fuori dalle polemiche con Donald Trump si sta trasformando in un pasticcio. In fondatore e presidente del più grande social network del mondo si è detto «disgustato» dai commenti del presidente ma ha comunque difeso la sua scelta e per questo è stato criticato dai suoi stessi dipendenti e manager, che lunedì hanno inscenato uno sciopero virtuale. Inoltre, un'azienda che stava per concludere un affare da milioni di dollari con Facebook ha fatto marcia indietro, mentre un gruppo di leader del movimento dei diritti civili, dopo una lunga telefonata con Zuckerberg, si sono detti «stupiti e delusi» dalle sue parole.
DIFFERENZE
Il fondatore di FB si è rifiutato infatti di intervenire sui post di Trump, differenziandosi così da un altro giovane tycoon di Silicon Valley, Jack Dorsey, che invece sul suo Twitter aveva deciso di cominciare a segnalare quando i messaggi del presidente «incitano alla violenza», o devono «essere controllati circa la loro fondatezza». Dorsey non è certo un rivoluzionario col cuore a sinistra, e la sua è stata una reazione in buona parte generata dall'indignazione del pubblico davanti ai messaggi del presidente, che sono sempre stati provocatori ma ultimamente sono diventati offensivi e sopra le righe. Zuckerberg ha invece deciso di continuare a mantenere un atteggiamento del tutto neutrale, rifiutandosi di aggiungere un qualsiasi chiarimento.
La tolleranza dei suoi stessi manager e dipendenti è esplosa proprio sui due post che avevano già generato disagio su Twitter, e cioé un post che sosteneva che il voto per corrispondenza è sempre corrotto e fonte di frode elettorale, e un altro che prometteva l'invio dei soldati per reprimere le manifestazioni di Minneapolis e si concludeva con l'infausta frase «when the looting starts, the shooting starts» (quando cominciano i saccheggi, si comincia a sparare). Le affermazioni sul voto per corrispondenza sono del tutto infondate, come hanno provato indagini sul caso, una delle quali voluta dallo stesso Trump, che peraltro varie volte nella sua vita si è avvalso del voto per corrispondenza.
LA FRASE
La frase when the looting... è ben nota, ed è quasi un ritornello nelle frange di destra. Risale agli anni Sessanta e a un capo di polizia di Miami, Walter Headley, che la rese famosa come minaccia verso i ghetti, ed è rimasta da allora nel gergo dei razzisti. Trump ha detto di non sapere che significato avesse, ma praticamente ogni americano sa cosa significhi: state attenti neri, se vi mettete a saccheggiare, vi spariamo addosso. Per questo Twitter l'ha censurato, come incitazione alla violenza. Zuckerberg non l'ha fatto, sostenendo che il post annunciava anche il ricorso ai soldati e che era dunque necessario lasciarlo per «informare il pubblico». Con i suoi dipendenti ha sostenuto di aver «sofferto» nel prendere quella decisione, Altri giganti di Silicon Valley hanno preso posizione critica verso il presidente sugli ultimi tweet e post Fb sia sul fronte della diffusione del coronavirus e dei metodi per combatterlo, sia sull'esplosione delle manifestazioni dopo l'uccisione di George Floyd a Minneapolis. Critiche sono venute a Trump da Amazon, Netflix, Google. Dal canto suo, Trump ha già minacciato di revocare certi diritti che sin dal 1996 proteggono le comunicazioni via internet, e di cui si sono avvantaggiati tutti i social network.
Anna Guaita
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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