Sono almeno tre i morti e 21 i feriti in tre successive esplosioni che hanno colpito veicoli delle forze di sicurezza talebane a Jalalabad, capitale della provincia orientale di Nangarhar in Afghanistan. La responsabilità dell’attacco non è stata ancora rivendicata: i sospetti ricadono sull’Isis-K, la filiale asiatica dello Stato islamico nemica del nuovo regime e già autrice dell’attentato all’aeroporto di Kabul del 26 agosto scorso (almeno cento morti). Non è ancora chiaro se tra le vittime ci siano funzionari Talebani. Oltre che una roccaforte dell’Isis-K, Jalalabad è la città in cui si sono registrate fin dai primi giorni le più ampie proteste contro i nuovi padroni del Paese, con centinaia di giovani scesi per le strade e repressi a colpi di kalashnikov. Nelle ore precedenti, un’ulteriore esplosione – probabilmente una bomba artigianale – si era registrata a Dasht-i-Barchi, nell’area occidentale di Kabul, popolata dalla minoranza hazara perseguitata dai Taliban. Testimoni hanno riferito a Tolo News che le due persone hanno portato ferite “superficiali”. Si tratta dei primi attentati successivi alla formazione del nuovo governo ad interim del Paese (7 settembre).

Venerdì intanto il Pentagono – il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti – ha rivelato che nel raid con un drone condotto per rappresaglia subito dopo l’attentato all’aeroporto sono rimasti uccisi soltanto civili, e non alti vertici dello Stato islamico come annunciato nell’immediatezza da Joe Biden. “L’attacco è stato un tragico errore“, ha ammesso il generale Frank McKenzie, capo del Comando centrale delle forze armate, scusandosi pubblicamente e annunciando che gli Usa risarciranno le famiglie delle vittime. Per giorni il Pentagono aveva insistito a rassicurare che il raid era stato corretto, nonostante i dieci civili uccisi, tra cui sette bambini. McKenzie ha spiegato che la decisione di colpire la Toyota Corolla bianca, dopo averla seguita per otto ore di fila, è stata presa con la “ragionevole certezza” che il mezzo nascondesse esplosivi e costituisse una minaccia per le forze americane allo scalo di Kabul. Nei giorni successivi alcuni media avevano sollevato dubbi sulla ricostruzione ufficiale, svelando come l’autista del mezzo fosse un dipendente di un’ong Usa e non risultasse alcuna prova del fatto che l’auto fosse carica di esplosivo.

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