Il commento

Bitcoin è il grande assente del paniere del risparmio in Italia

Sulle cripto c'è ancora scetticismo. Ma in un paniere diversificato, bitcoin e affini possono aumentare i rendimenti
Un'illustrazione dei bitcoin
Un'illustrazione dei bitcoinGettyImages

Il Salone del Risparmio 2024 (9-11 aprile) ha visto i principali operatori del settore presentare strategie e prodotti, mirando ai 5.216 miliardi di euro della ricchezza finanziaria degli italiani. La kermesse ha ospitato anche storici, dj, psichiatri, sociologi, protagonisti dello spettacolo, calciatori e sportivi vari. Il grande assente è stato bitcoin, l'asset class leader in termini di rendimento nel primo trimestre 2024, nel 2023, nell'ultimo triennio e nell'ultimo decennio.

Mi è stato scritto che il profilo di business di chi è autorizzato ad offrire servizi in ambito cripto “non risulta in linea con i principi e scopi dell'evento, incentrati sulla promozione, diffusione e tutela in Italia delle diverse forme di gestione del risparmio”. Eppure negli Stati Uniti, a gennaio, sono stati approvati gli etf su bitcoin. Promossi, tra gli altri, da BlackRock e Fidelity (rispettivamente numero uno e numero tre dell’asset management internazionale) che in tre mesi hanno raccolto 23 miliardi di dollari.

La Research Foundation del Cfa Institute (l’istituto dei chartered financial analyst, gli analisti finanziari abilitati) suggerisce di investire in bitcoin e cripto il 2,5% di un portafoglio diversificato, per catturare gli straordinari benefici di diversificazione del rischio prima ancora delle straordinarie performance di rendimento. Incomprensibile la miopia provinciale del mondo del risparmio gestito italiano che pur lanciando lo slogan “il futuro ha un grande futuro”, per scelte e comportamenti sembra celebrare “un passato che è stato un grande passato”.

Infatti, l’industria finanziaria farebbe bene a non attardarsi in battaglie di retroguardia. La guerra decennale al file-sharing condotta dall’industria dell’intrattenimento ha portato alla predominanza di Apple, Amazon, Google, Netflix e Spotify per la musica e i film sul digitale: oggi Sony, Disney e Paramount lottano per recuperare il terreno perduto.

A dieci anni dall’invito di Eba (l’autorità bancaria europea) ai regolatori nazionali di “dissuadere le istituzioni finanziarie dal comprare, vendere e detenere” cripto-attività, è forse il momento di cambiare rotta. Bisogna riconoscere che se il mondo cripto è un Far West popolato da ciarlatani e fuorilegge la responsabilità è anche del regolatore, che ha impedito servizi finanziari affidabili forniti da operatori regolati. Nessuno conosce il cliente meglio della sua banca e del suo private banker: sono loro gli intermediari che dovrebbero accompagnarlo nel mondo cripto, come già fanno per tutte le altre forme di investimento.

Per fortuna il quadro regolamentare si chiarisce quest’anno con l’entrata in vigore di MiCA, il regolamento europeo per i Markets in Crypto Assets, e il quadro fiscale è già chiaro dall’anno scorso. Nulla osta perché anche gli intermediari vigilati offrano servizi sicuri e qualificati ai loro clienti, magari collaborando con le migliori fintech attive nel settore, con la supervisione attenta dei regolatori. Perché il futuro è adesso e bitcoin ne fa parte.

*L'autore di questo articolo è un imprenditore nel settore delle criptovalute