Il Tirreno

Livorno

Addio a Bruno Tognetti, si è spento il signore del rugby

di Giulio Corsi
Addio a Bruno Tognetti, si è spento il signore del rugby

Livorno, per 20 anni capitano in serie A, poi presidente dei biancoverdi. Fu tra i protagonisti della battaglia per far rinascere il Tirreno

23 marzo 2018
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LIVORNO. Il cuore della montagna ha smesso di battere. Bruno Tognetti è morto. Lui che nella vita ha condotto battaglie di ogni tipo, spingendo per un ventennio la mischia del Rugby Livorno in serie A o guidando la resistenza dei lavoratori di questo giornale contro la chiusura del Telegrafo decisa a metà anni Settanta dall’editore Attilio Monti che poi ha portato alla rinascita del Tirreno, non ce l’ha fatta a vincere la sfida più importante e più difficile, quella al morbo di Parkinson. Il testa a testa con la malattia è durato vent’anni, nella  mattina di mercoledì 20 marzo l’epilogo.

La salma è rimasta esposta fino alle 14 di giovedì a Villa Serena. Alle 14.20 il feretro ha iniziato l’ultimo viaggio verso il cimitero dei Lupi dove alle 15 si è svolta la cerimonia funebre e poi la cremazione. Aveva 80 anni, Tognetti. La metà dei quali passati come impaginatore nella tipografia di viale Alfieri, a comporre pagine, prima con la fusione a caldo, col piombo e la linotype, poi vivendo la rivoluzione del sistema a freddo e la composizione al computer.

Al Telegrafo visse in prima linea gli anni drammatici e al contempo eroici del tentativo di chiudere la testata da parte dell’editore Monti proprio nel centesimo anniversario dalla nascita del giornale, la requisizione da parte del sindaco Alì Nannipieri della redazione e della tipografia e la consegna del giornale alla cooperativa Libera Informazione, che nel 1977 vide insieme giornalisti e poligrafici del giornale di Livorno nella difesa di 208 posti di lavoro, di un ideale e di un diritto, quello della libertà di stampa, lui nelle vesti di vice del presidente Sergio Carlesi, poi per 16 anni alla guida della cooperativa Libera Stampa che successivamente riuinì i tipografi del Tirreno, dal 1978 entrato nell’orbita del Gruppo Espresso.  Alto un metro e 85 per 90 chili di muscoli, per oltre 20 anni Tognetti ha militato nella squadra del Rugby Livorno come capitano, con diverse apparizioni anche in nazionale. Il suo debutto in prima squadra è datato 1958.

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«Avevo 14 anni e mi allenavo nel primo pomeriggio al campo di via dei Pensieri: Bruno Tognetti che per motivi di lavoro si allenava contemporaneamente da solo, catturava la mia attenzione ed ammirazione», ricorda l’ex consigliere regionale Enrico Cantone. «Quell'omone che senza nessun incitamento se non quello del suo cuore correva sudava e non smetteva mai di fermarsi era per me già un mito. Mi impressionava ancor di più quando da solo spingeva "la macchina" della mischia mentre noi non ce la facevamo in 8 e poi ripartiva con l'ovale fra le braccia con degli schemi stampati nella sua memoria come se nulla fosse».

E Fabio Gaetaniello, bandiera della palla ovale livornese e nazionale nei gloriosi anni Ottanta del nostro rugby, rammenta «quando mi metteva la manona sulla testa, e diceva "Gigi, questo ti batte"». Dopo aver appeso le scarpette al chiodo, Tognetti era rimasto nel mondo del rugby diventando presidente della società di via Goito.
A 60 anni la scoperta del morbo di Parkinson gli cambiò la vita: «Avevo vissuto nel fango degli stadi, ogni domenica, e mai un raffreddore. Che botta. Farsi la barba era un’impresa. Allacciarsi le scarpe roba da fantascienza. Il bicchiere era diventato un’anguilla. E la sorpresa agghiacciante è che ti senti solo, perché la solidarietà della gente ha i propri oggettivi e giustificati limiti, le disponibilità delle istituzioni appaiono ingessate in orari e bilanci al di là dell’impegno di singoli operatori», raccontava in un’intervista di 5 anni fa.

Ma non mutò mai lo spirito con cui affrontava le sue sfide. Tanto che diventò presidente dell’Associazione Parkinson. E il suo approccio alla vita è ben racchiuso nelle sue parole a proposito dell’associazione appena nata: «Abbiamo trovato molti sorrisi e pacche sulle spalle ma, per dirla alla livornese, fu un po’ come “la pesca del Giunti”, acqua tanta e pesci punti. Al contrario, dove sapevo che non c’era una lira, è giunta proprio di recente una risposta insperata e pratica. Don Raffaele, parroco alla Scopaia, ci ha concesso l’utilizzo d’una stanza, così da poter disporre d’una sede ed incontrarci. Stiamo crescendo di numero, tanti hanno letto qualcosa di noi sulla stampa e sono venuti. Faremo una ricerca, pensiamo siano circa 300 quelli come noi a Livorno e provincia. Siamo soddisfatti, perché se da solo ciascuno è destinato a perdere, insieme, giorno dopo giorno, riusciremo a vincere, con dignità contro la malattia e soprattutto contro l’indifferenza. La malattia non può renderci cittadini di serie B. Per me e gli amici sarà come giocare una partita, quella più importante. Quando ero giocatore, i miei maestri, Ratcliff Crudeli, Cocco Ruelle e Loris Bernini, mi hanno sempre insegnato a non darmi mai per vinto e a loro devo tanto, soprattutto lo sento ora. Gli amici mi hanno eletto presidente e così come da capitano ho trascinato la mia squadra tante volte alla vittoria, allo stesso modo farò adesso con loro. Siamo una squadra».

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