Spettacoli

Roby Facchinetti e il premio Pierangelo Bertoli: "Un onore, ma non sono a fine carriera"

Al tastierista dei Pooh l'onorificenza intitolata all'artista di Sassuolo: "Ci conoscevamo, tra noi c'era un grande rispetto. Anche se la critica all'epoca preferiva i cantautori..."
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Che cosa può accomunare un cantautore impegnato, di quelli duri e puri, e un cantante di una band nota per canzoni d'amore e buoni sentimenti fin quasi al luogo comune? Più semplice di quel che si pensi: la musica. Che mette assieme gli opposti, anche più estremi di questi. Così non deve affatto scandalizzare, anzi, che a vincere il premio alla carriera intitolato a Pierangelo Bertoli sia quest'anno Roby Facchinetti, per mezzo secolo tastierista dei Pooh, che lo riceverà oggi al teatro Storchi di Modena.

Però insomma, Facchinetti, la domanda resta: cosa accomuna e ha accomunato i Pooh e Pierangelo Bertoli, "Eppure soffia" e "Tanta voglia di lei"?

"Ad esempio la stessa casa discografica, la Cgd. Dove negli anni Settanta ci capitava di incontrarci, soprattutto al bar che era davvero un punto di snodo e di socializzazione. Gli piaceva scherzare e chiacchierare, ma non aveva remore nel dire quel che pensava, anche in modo urticante. Ma quella era la sua forza anche nel privato".

Disse qualcosa anche a voi?

"Sì, ma non ricordo cosa. Poi comunque rispettava moltissimo la professionalità, come noi, d'altronde. Insomma c'era un forte rispetto reciproco. Poi certo, lui era un cantautore con la K, noi un gruppo pop. E il pubblico aveva una forte predisposizione verso i cantautori nel periodo".

Pure la critica, no?

"Pure troppo. Nel senso che certo, in quegli anni i critici non condividevano la nostra musica, poi però magari qualcuno aveva le nostre musicassette in macchina ma doveva scrivere diversamente e ce l'ha confessato solo in seguito. Diciamo che il tempo è stato galantuomo, ma che siamo maturati anche noi. Certo, c'era forte disattenzione: tanti ci giudicavano solo attraverso le hit, senza ascoltare i dischi nella loro interezza. E anche qui parlo di giornalisti musicali. Pochissimi notarono ad esempio che in Parsifal c'era Lei e lei, che nel 1973 parlava di omosessualità al femminile. E per stare sul tema in Poohlover, del1976, c'era sì Pierre, dedicata al mondo gay, ma parlavamo anche di zingari, emarginazione, ex carcerati. Tutto merito del più grande autore di parole pop italiano, Valerio Negrini, e non voglio dimenticare neppure Stefano D'Orazio".

Un premio alla carriera può avere un sotteso non piacevolissimo: se te lo diamo vuol dire che la tua carriera è alla fine.

"Posso dire due cose. Primo, a me i premi sono sempre piaciuti, sono una sicurezza. Se me li danno vuol dire che qualcosa di buono l'ho fatto, altrimenti li darebbero ad altri. E riceverne uno intitolato a Pierangelo davvero mi onora. Secondo, mi sento tutt'altro che a fine carriera: abbiamo completato la trasformazione di Parsifal in un'opera, andrà in scena nel 2022, e presto presenterò un nuovo progetto con cinque inediti. Io mi sentirò a fine carriera solo quando la fantasia mi avrà abbandonato, ma ne sono ben lontano. Anche perché preferisco guardare avanti che indietro".

Provi però a volgere lo sguardo al passato. Vede errori, o rimpianti, accanto al clamoroso vostro successo?

"Errori ne abbiamo fatti tutti perché siamo esseri umani. Ma io vedo soprattutto mezzo secolo irripetibile. Con 80 milioni di dischi venduti, tremila concerti, non abbiamo mai mollato un giorno. E siamo riusciti a far ragionale allo stesso modo 4-5 teste, senza false modestie una storia così non succederà mai più".

Però un errore che ricorda ci sarà stato.

"Col senno di poi è stato un errore, anche se manca e mancherà per sempre la prova definitiva. A metà anni Settanta ci offrirono di andare negli Usa per due anni, studiare la lingua, tentare lo sbarco vero in quel mondo. Chissà, forse dai Pooh potevamo trasformarci in The Poohs, come The Police. Ma non siamo certo andati male restando in Italia".

Se foste dei ragazzini adesso, riuscireste ad avere ancora successo? Oppure è troppo cambiato tutto il mondo?

"Guardi, negli anni 60 avevamo la freschezza e la spensieratezza, anche l'immagine di "bad guys", viaggiavamo in pulmino con gli strumenti. Insomma - fate tutte le distinzioni del caso, a cominciare dal genere musicale - avevamo un po' l'approccio dei Måneskin, della band che voleva spaccare il mondo, arrivare a tutti i costi. In loro rivedo noi come spirito di gruppo, di band. Certo, passare da un talent show sarebbe inevitabile anche per i rinati Pooh. Ma ai tempi avevamo Settevoci, non era poi così diverso".