Il Brasile è immerso in una profonda crisi. Fino a poco tempo fa, i giornali del Paese diffondevano ogni giorno notizie sulla situazione e numeri dei morti in Italia. Al di là dell’evidente tragedia che il Paese ha attraversato e ancora attraversa, l’obiettivo del messaggio diffuso in Brasile era parlare delle misure di isolamento, punto su cui, nonostante la raccomandazione delle autorità sanitarie, a oggi non c’è una pacifica intesa.

Fra le varie ragioni merita sottolineare la posizione del capo del governo, Jair Bolsonaro. Di formazione militare ed eletto in una consultazione contestata – sia per lo scandalo della divulgazione di massa di fake-news su WhatsApp, sia per la retorica dell’odio nell’esaltazione dei sentimenti coloniali della sua base elettorale di persone bianche – Bolsonaro è stato avvantaggiato direttamente dall’allora giudice Sergio Moro. Questi escluse la candidatura del favorito nei sondaggi, l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, e in seguito ha assunto l’incarico di ministro di Bolsonaro, eletto nel contesto di quella frode.

A UN ANNO E CINQUE MESI dall’insediamento, il presidente e la sua cerchia sono responsabili di aver portato il Paese in una profonda crisi amministrativa, politica e della salute pubblica. Oggi in Brasile sui giornali nazionali si parla poco dell’Italia, mentre online spesso si sente dire che qui non abbiamo solo il Covid-19, ma anche Bolsonaro.
Il suo mandato ha rafforzato le oppressioni storiche. Dopo 13 anni di coalizione progressista che aveva tenuto conto di istanze storiche del movimento nero e sviluppato importanti politiche sull’istruzione (la creazione di università pubbliche, l’adozione delle quote razziali e l’esenzione fiscale per le università private aderenti al programma governativo sulle rette gratuite per gli studenti poveri), il cambiamento ha prodotto una situazione scomoda per il «patto narcisistico della bianchezza». Un’espressione brillante, coniata dalla ricercatrice nera brasiliana Cida Bento, in riferimento al patto sotteso tra persone bianche che tra loro si elogiano, si assumono, si premiano, si proteggono.

SOSPINTO dalla rabbia bianca per l’ascesa delle fasce popolari e appoggiato dal discorso religioso oscurantista delle chiese neopentecostali e cattoliche, il governo Bolsonaro ha promosso il taglio di migliaia di borse ai ricercatori, per moltissimi unica fonte di sostentamento, e il congelamento dei versamenti alle università, loro prima fonte di bilancio.
Capire che le diseguaglianze non dipendono dalla provvidenza, ma sono la conseguenza di storiche oppressioni, ci offre un importante punto di analisi. Le identità attraversate dalle oppressioni di razza, classe e genere posizionano la donna nera alla base della piramide sociale, dove subisce in modo sproporzionato l’impatto di questi e altri arretramenti.

PER ESEMPIO, desta attenzione l’aumento del già elevato indice di violenza domestica. I numeri sono sempre stati scioccanti, in un Paese dove il ministero della Salute calcola che una donna viene aggredita ogni 4 minuti e negli ultimi anni i femminicidi di donne nere in ambiente domestico sono aumentati del 54%, mentre quelli di donne bianche sono diminuiti del 10%. Il dato mostra quanto sia fondamentale pensare in termini di razza quando si formulano politiche pubbliche. Invece, oltre a essere impreparato sotto questo punto di vista, il governo ha tagliato gli investimenti a tutte le politiche destinate alle donne.
Stiamo parlando di una riduzione da 119 milioni di Reais (circa 20 milioni di euro, nell’assurda quotazione di 6 a 1 della moneta brasiliana) nel 2015 a 5,3 milioni di Reais nel 2019.

NEL PIENO di questo attacco alle donne è arrivata la pandemia, con un aumento del 35% dei casi di denunce di violenza domestica, con il forte sospetto di sottorappresentazione. A ciò si sommano molte altre violenze, difficilmente riassumibili in un articolo, tra cui l’attacco alla popolazione indigena, il sovraffollamento carcerario sotto minaccia imminente di strage, la totale mancanza di riforme dell’austerità.
In materia di assistenza sociale, a oltre un milione e mezzo di famiglie è stato sospeso l’aiuto economico mensile, che può arrivare a 45 euro. Il programma «Bolsa Família», premiato a livello internazionale e capace di innescare trasformazioni sociali nelle secolari strutture diseguali del Paese, oggi viene strangolato. Con l’arrivo della pandemia, dopo molte proteste e a malincuore, il governo ha approvato aiuti d’emergenza alle famiglie bisognose, un versamento mensile di circa 100 euro, molti dei quali non vengono concessi.

Il sabotaggio di vari programmi sociali è accompagnato dalla pratica politica neoliberale di smantellamento dello Stato per consegnarne quote alla privatizzazione.

È CURIOSO VEDERE come, in generale, le istituzioni europee restino scioccate dalla brutalità di Bolsonaro, ma fino a un certo limite. Questo limite è molto evidente nelle proprietà e nelle ricchezze naturali brasiliane privatizzate al prezzo di colonie per gruppi finanziari statunitensi, cinesi o – guarda un po’ – europei. Sotto un comandante militare, burattino su cui ricade la denuncia degli orrori umanitari che il suo gruppo promuove e servile rispetto agli interessi delle agende economiche sfruttatrici dell’emisfero nord, vediamo che il ciclo coloniale si reinventa come meccanismo. Capire le radici coloniali è un passo importante per comprendere il presente. I governi che così tanto guadagnano con la miseria del Brasile che cosa restituiscono al Paese in politiche e agende umanitarie?

Se non fosse per la pandemia, in questi giorni sarei in Italia (per il lancio del suo libro Il luogo della parola, tradotto dall’editrice Capovolte, ndr). Spero di venirci presto, per discutere di questo e altri temi. Fino ad allora, continueremo il lavoro di denuncia di questo governo e delle agende internazionali responsabili di mantenerlo al potere mentre fustiga i gruppi sociali che storicamente resistono al sistema coloniale ancora vigente in Brasile.

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(Traduzione di Agnese Gazzera)