1 giugno 2020 - 14:29

Tumore del polmone: così si può guadagnare tempo e puntare alla guarigione contro il «big killer»

Diversi studi indicano importanti progressi che possono cambiare le terapie ad oggi standard. Grazie ai trattamenti innovativi in Italia le persone vive dopo la diagnosi sono aumentate del 30% in 10 anni

di Vera Martinella

Tumore del polmone: così si può guadagnare tempo e puntare alla guarigione contro il «big killer»
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Quello al polmone è, ancora oggi, il tumore più letale in Italia. Facilissimo da prevenire: basterebbe non fumare, visto che il 90% dei casi è dovuto al tabacco. Molto difficile da individuare in fase precoce, quando sarebbe più semplice da curare e le probabilità di guarire sarebbero maggiori: più dell’80 per cento dei pazienti arriva alla diagnosi troppo tardi perché la neoplasia non dà segni evidenti della sua presenza fino a quando non è ormai in stadio avanzato. Ma negli ultimi anni la ricerca scientifica ha fatto importanti progressi, come confermano alcune novità esposte durante il congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), che si chiude oggi. In particolare uno studio presentato durante la sessione plenaria del convegno, quella riservata alle ricerche più rilevanti, pone le basi per un cambiamento della terapia fino ad oggi considerata standard nelle fasi iniziali di malattia.

Un cambio di paradigma per i malati candidati a guarire

Gli esiti dello studio di fase tre ADAURA sono considerati molto promettenti perché mostrano un risultato senza precedenti come terapia adiuvante (cioè post-operazione) in pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule ai primi stadi (IB-IIIA) positivi alla mutazione di EGFR: il medicinale osimertinib somministrato dopo l’intervento chirurgico radicale ha ridotto il rischio di recidiva o morte dell'83% e, a due anni dall’inizio del trattamento, l'89% dei pazienti trattati con osimertinib è vivo e libero da malattia contro il 53% di quelli trattati con placebo. «Questo medicinale è già la terapia standard per i malati con carcinoma polmonare non a piccole cellule EGFR-mutato in stadio avanzato: i risultati ottenuti nello studio ADAURA fanno propendere in modo considerevole verso l’uso della molecola anche alle prime fasi di malattia» commenta il vice presidente di Asco, Richard L. Schilsky. «Una riduzione del rischio di recidiva o morte pari all’80%, in malati in stadio precoce (quindi potenzialmente guaribili in modo definitivo) è sicuramente un dato senza precedenti e che porterà a un cambio della pratica clinica — conferma Filippo de Marinis, direttore della Divisione di Oncologia Toracica all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e principal investigator dello studio per l’Italia —. Si tratta di risultati che vedranno inevitabilmente l’affermarsi delle terapie target e, in particolar modo dell’inibitore di EGFR osimertinib, come cura standard per questo gruppo di malati».

Cercare la mutazione e abbinare il farmaco più efficace

Alla sperimentazione hanno partecipato 682 pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule ai primi stadi (IB-IIIA) con mutazioni del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR). Dei 42.500 nuovi casi di cancro al polmone registrati in Italia nel 2019, circa 36mila sono carcinomi non a piccole cellule (in sigla NSCLC). «Osimertinib è già disponibile in Italia per il trattamento di prima e seconda linea dei pazienti con NSCLC localmente avanzato o metastatico con mutazione di EGFR — continua de Marinis —. È un farmaco che conosciamo, un inibitore di EGFR di terza generazione, che ha davvero pochi effetti collaterali anche nei malati metastatici (per lo più diarrea o problemi cutanei). È quindi molto ben tollerato e comodo da assumere (in pillole quotidiane, che il paziente ritira in ospedale una volta al mese, quando ha anche la visita di controllo con lo specialista). Anche per questo c’era grande attesa per questo studio, che doveva essere presentato nel 2022, ma il comitato indipendente ha deciso di anticipare per l’evidente superiorità di osimertinib rispetto al placebo». Anche il test per cercare la mutazione EGFR che già oggi è raccomandato sui malati in stadio molto avanzato dovrà quindi essere anticipato. «È una mutazione più frequente nei non fumatori — sottolinea Antonio Marchetti, professore ordinario di Anatomia Patologica e direttore del Centro di Medicina Molecolare e Predittiva dell'Università di Chieti —. E i dati di questo trial porteranno a un cambio nell’approccio diagnostico anche per i pazienti con malattia in stadio precoce per i quali sarà necessario prevedere, alla luce di quanto presentato ad Asco, l’implementazione del test per verificare l’eventuale presenza della mutazione, requisito fondamentale per il trattamento target con osimertinib (inibitore di EGFR). Infatti, usando questa target therapy, così come con altri farmaci mirati o con l’immunoterapia, migliora molto l’efficacia della cura nel singolo malato con un tumore sensibile a quella specifica mutazione: dovremo sempre più procedere in questo senso nella nostra pratica clinica quotidiana».

Immunoterapia e 2 cicli di chemio funzionano meglio

Altro passo avanti significativo è quello raggiunto dalla sperimentazione di fase 3 CheckMate -9LA, sempre per i pazienti colpiti dalla forma più comune di carcinoma polmonare, quella non a piccole cellule: l’immunoterapia associata a cicli limitati di chemioterapia (cioè due invece dei classici 4 o 6) nel trial che ha coinvolto 700 partecipanti ha evidenziato un netto vantaggio in termini di sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia. «La duplice terapia immuno-oncologica, costituita da nivolumab più ipilimumab, in associazione a due cicli di chemioterapia, in prima linea nel tumore metastatico, ha ridotto il rischio di morte del 31% rispetto alla sola chemioterapia a un follow-up minimo di 8,1 mesi — spiega Federico Cappuzzo, direttore dell’ Oncologia a Ravenna e del Dipartimento di Oncoematologia di Ausl Romagna —. Inoltre, a un follow-up prolungato (12,7 mesi) l’associazione ha continuato a mostrare un miglioramento duraturo della sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia, con una mediana di 15,6 mesi rispetto a 10,9 mesi. Il vantaggio in termini di sopravvivenza globale è notevole e non si limita a poche settimane, come in schemi terapeutici di alcuni anni fa: la mediana di sopravvivenza rispecchia solo in parte il reale beneficio clinico per il singolo paziente. Negli studi sull’immunoterapia osserviamo sempre la cosiddetta “coda delle curve”, perché un gruppo di pazienti presenta un vantaggio di sopravvivenza a lungo termine. La combinazione di due molecole immuno-oncologiche consente di ottenere un meccanismo d’azione completo e sinergico, perché diretto verso due diversi checkpoint (PD-1 e CTLA-4)».

Le persone vive dopo la diagnosi aumentate del 30% in 10 anni

In pratica, in questo modo, il paziente in meno di un mese termina la chemioterapia e prosegue il trattamento con l’immunoterapia. L’associazione dei due immunoterapici e chemioterapia, inoltre, ha mostrato un tasso di sopravvivenza libera da progressione del 33% a un anno rispetto al 18% per la chemioterapia e un tasso di risposta globale del 38% rispetto al 25% per la sola chemioterapia. «Oggi in Italia vivono quasi 107mila persone con pregressa diagnosi di tumore del polmone, dieci anni fa erano circa 82mila, l’incremento è stato del 30% — conclude Cappuzzo —. La speranza di vita si sta allungando, grazie alle terapie innovative, come suggeriscono i diversi studi esposti anche durante Asco 2020». È la conferma che arriva anche dai dati aggiornati del trial KEYNOTE-189 (sempre di fase 3): pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia ha ridotto il rischio di morte del 44% rispetto alla sola chemioterapia e, a due anni, ha dimostrato un beneficio sostenuto di sopravvivenza a lungo termine nel tumore del polmone non a piccole cellule non squamoso metastatico. La sopravvivenza globale mediana è raddoppiata con la combinazione, raggiungendo i 22 mesi rispetto ai 10,6 mesi con la chemioterapia. «Lo studio KEYNOTE-189 ha già dimostrato che l’immunoterapia con pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia migliora in maniera sostanziale la sopravvivenza nei pazienti con tumore del polmone, indipendentemente dall'espressione di PD-L1 — conclude Marina Chiara Garassino, responsabile dell’Oncologia Medica Toraco-Polmonare alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale di Tumori di Milano —. I risultati dell’analisi aggiornata evidenziano il beneficio della terapia di combinazione con pembrolizumab anche nel lungo termine, con il 45,7% dei pazienti vivo dopo due anni rispetto al 27,3% trattati con sola chemioterapia: la riduzione del rischio di morte rimane della stessa entità anche due anni dopo la prima analisi pubblicata nel 2018. Pembrolizumab è già disponibile in Italia e rappresenta un trattamento consolidato nella cura del tumore del polmone non a piccole cellule metastatico, sia in monoterapia che in combinazione».

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