Luciano Violante, ex magistrato, già presidente della Camera dei Deputati (1996-2001) e della Commissione Parlamentare Antimafia (1992-1994) è vero, come si ripete in questi giorni, che si può fare una buona riforma del Csm anche senza metter mano alla Costituzione?
«Sì, si può fare, ma sarebbe una riforma insufficiente. Migliorare l’esistente non basta più, bisogna aprire una fase nuova».

Sono gli eventi a suggerirlo?
«Penso alla vicenda del gip di Bari o a quella del procuratore di Taranto. E ancora al procuratore di Firenze accusato di aver aggredito sessualmente una collega o alle prove che sarebbero state occultate nel processo Eni. E poi c’è il caso Palamara. Francamente non sono casi più singoli, ma tante deviazioni dello stesso tipo che denunciano un problema morale grave nella magistratura e, soprattutto, anche se non solo, nella magistratura inquirente, quella che ha il rapporto più autoritario con il cittadino».

Il costituzionalista Massimo Luciani, coordinatore della Commissione che ha elaborato la proposta di riforma, ha individuato nel «rinnovamento culturale» il vero motore per correggere le strutture.
«Sono d’accordo ma il rinnovamento culturale non è frutto di buona volontà, è frutto di rotture, di atti politici decisivi»

Per lei quali sono le azioni necessarie?
«Ne indico due. La costituzione di un’Alta Corte che sia organo di impugnazione per tutti i provvedimenti disciplinari e amministrativi del Csm e degli organi di governo interno delle altre magistrature. E poi la nomina del vicepresidente del Csm ad opera del Presidente della Repubblica per evitare la contrattazione del candidato con le correnti della magistratura. La Commissione Luciani ha evidenziato entrambi questi punti».

Dunque il suo giudizio sull’operato della Commissione è positivo?
«Hanno fatto un buon lavoro. Certo, tutte le proposte sono criticabili ma ho l’impressione che chi ne ha parlato male non abbia letto le carte.

Entriamo nel merito, allora. Cosa la convince innanzitutto fra le varie proposte?
«Mi convince la rotazione dei membri del Csm. Nella composizione con 36 elettivi, i 24 attuali si eleggerebbero alla scadenza di questo consiglio, gli altri 12 dopo due anni perché ogni componente ne dura quattro. Dunque, siamo di fronte a un rinnovamento periodico che ristabilisce un equilibrio tra membri laici e togati. Sanando così uno dei disallineamenti più gravi perché, con l’ingresso in blocco, ci si ritrova con i togati che sanno tutto e i laici nulla; di qui il predominio dei primi a scapito dei secondi».

Altro punto: le candidature individuali. Un buon modo per disinnescare lo strapotere delle correnti?
«Il sistema è complicato ma può funzionare. E smonta davvero il predominio delle appartenenze di corrente».

L’aspetto su cui è piovuto il maggior numero di critiche è il riproporsi del meccanismo delle «porte girevoli». In altre parole, i magistrati in politica. Certo, limitazioni e paletti sono molti ma saranno sufficienti?
«Mi permetta un passo indietro: perché i partiti candidano i magistrati? Questa è la domanda. È necessario chiedersi perché si ricorre così spesso a persone che non appartengono ai partiti né vengono dalla gavetta politica. Il sistema politico deve selezionare autonomamente le classi dirigenti e i magistrati non possono diventare l’esercito di riserva della politica».

D’accordo, ma nel merito? Si allenta la stretta?
«Direi di no, le misure mi sembrano rigorose a cominciare dal fatto che non puoi andare a fare il candidato dove sei stato magistrato cosa che accade a Napoli e Roma. Ripeto, il problema riguarda più che altro i partiti».

Cambiamo lato. C’è qualcosa che, invece, non la convince?
«Sarebbe stato necessario un maggiore raccordo tra la Commissione Lattanzi, che si occupa di procedura penale, e appunto la Commissione Luciani. La prima propone un modello di decisione giudiziaria diverso rispetto al passato. Se il progetto, come spero, andrà avanti il giudice dovrà discutere con l’imputato le sanzioni, le prestazioni da mettere in campo, l’adempimento degli obblighi. Per selezionare questo giudice non bisognerà più sottoporgli un tema sulla colpa cosciente ma casi pratici. Un raccordo migliore tra le due commissioni potrebbe consentire di porre le basi per una selezione dei magistrati più adeguata alla modernità».

Dalla selezione alla valutazione. Serve intervenire anche qui?
«È importante non legiferare su cose che non si conoscono o si conoscono solo per sentito dire. Che valutazioni avevano quel gip di Bari o quel procuratore di Taranto al centro delle ben note vicende? Pessime, buone, eccellenti? Il Parlamento dovrebbe chiedere al ministro quanti sono i magistrati finiti sotto processo negli ultimi cinque anni e che giudizio sia stato dato sulla loro carriera. Solo così si può stabilire se l’attuale sistema di valutazione funzioni o meno. Abbiamo un ottimo ministro, i presupposti per far bene ci sono tutti».

Dunque, presidente, tirando le somme, la sua idea è che la Commissione ha svolto un buon lavoro ma sarebbe importante insistere su quelle riforme che implicano anche una modifica della Costituzione. Ma con i tempi come la mettiamo?
«Abbiamo due anni davanti. Il tempo c’è. Le proposte della Commissione Luciani spingono i partiti ad assumersi le proprie responsabilità. Oltretutto non bisogna elaborare proposte, ci sono già e sono chiare. Per stabilire che il vicepresidente del Csm deve essere nominato dal Presidente della Repubblica basta aggiungere un rigo ad un articolo della Costituzione».

Il clima però non sembra dei più costruttivi. La maggioranza è larga e litigiosa e poi c’è il nodo dei sei quesiti referendari su cui battagliano Radicali e Lega. La macchina rischia di incepparsi?
«Rispetto chi li sostiene. Ma mi sembra che i referendum non tocchino la sostanza delle questioni; si muovano su vecchi temi, riferibili a polemiche del passato. Oggi quei difetti sono diventati drammatici e occorre ricostruire, non semplicemente cancellare. Bisogna avere di mira un nuovo modello giudiziario per guardare alla giustizia di domani, non a quella di ieri».

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