Conte a cena con il «falco» Rutte: «L’Europa a più velocità è un rischio per tutti»

di Monica Guerzoni

Conte a cena con il «falco» Rutte: «L'Europa a più velocità è un rischio per tutti» Mark Rutte e Giuseppe Conte

Il benvenuto a Giuseppe Conte in Olanda è un cartello con su scritto «Non un centesimo all’Italia». Lo tiene alto davanti a palazzo Binnenhof il parlamentare d’opposizione Geert Wilders, alleato della Lega a Bruxelles. E in quella sintesi brutale c’è lo stato d’animo con cui tanti cittadini dei Paesi Bassi seguono le trattative per gli aiuti.

Alla cena che segue il bilaterale con il primo ministro Mark Rutte in un ristorante italiano dell’Aia, pesce e tiramisù, Conte arriva stanco per le troppe tensioni, i troppi dossier aperti che si porta dietro da Roma. Tanto che ieri mattina, salutando i veneziani alluvionati dell’isola di Pellestrina che lo incitavano a non mollare («tenga duro presidente!»), aveva risposto alzando le braccia: «Non saprei fare diversamente». Conte non molla, ma non era questo lo stato d’animo con cui sperava di arrivare alle ultime tappe del cruciale tour in Europa, in vista del Consiglio Ue del 17 e 18 luglio. Dopo Costa in Portogallo e Sanchez in Spagna, ecco Rutte, il «falco». Per Conte, nonostante la dichiarata «cordialità», è stato il faccia a faccia più ostico, perché Rutte guida uno dei quattro piccoli Paesi definiti «frugali» ed è dunque ostile a un Recovery fund troppo generoso con i governi del Sud. Proprio da qui è partito Conte per smentire un presunto asse del Mediterraneo e dunque l’immagine di Italia, Spagna e Portogallo che implorano 750 miliardi di aiuti, mentre Olanda, Austria, Svezia e Danimarca si oppongono.

«Quella che noi difendiamo — chiarisce in premessa Conte — è la proposta della Commissione per far ripartire le economie dopo il colpo durissimo del virus». Chi punta a indebolirla, aggiunge, «deve spiegarci perché». E deve mettere nel conto un grande rischio: «Se lasciamo che si distrugga il mercato unico, i danni saranno anche per l’Olanda. Se invece l’Italia è più forte, anche l’Europa è più forte. Non è concepibile una Ue a differenti velocità».

Al severo Rutte, il premier ricorda che il nostro Paese «è un contributore netto del bilancio europeo». Il che basta e avanza per far capire al primo ministro olandese un concetto che a Palazzo Chigi, pur smentendo la minaccia di voler porre veti, spiegano con parole assai meno diplomatiche: «Se ci rendono il Recovery Fund un percorso a ostacoli andremo a fare le pulci al budget 2021-2027, che va sempre approvato da tutti e 27 gli Stati». Nella visione del giurista pugliese, da questo negoziato decisivo per la ricostruzione non usciranno né vincitori, né vinti: «Non possiamo dividerci, si perde e si vince insieme». Merkel è un’alleata dell’Italia? «Siamo tutti alleati, anche i Paesi frugali».

Il leader del fronte oltranzista, che due giorni fa a Berlino aveva visto Angela Merkel, si è presentato con una posizione meno rigida, ma ha comunque insistito nel legare gli aiuti alle riforme. E qui Conte ha assicurato che il governo italiano si è messo a correre e che, dopo il dl Semplificazioni, altre «scosse» positive presto arriveranno.

L’obiettivo finale del viaggio di Conte, che lunedì sarà a Berlino per incontrare la cancelliera, è ottenere che il bilancio pluriennale europeo (MFF) e il fondo Next Generation Ue procedano «in un pacchetto complessivo», così da aumentare il potere negoziale dell’Italia. La trattativa è entrata nella fase finale e Conte segue i tentativi di costruire un accordo ammonendo, a ogni passo, «non accetteremo compromessi al ribasso».

La nuova bozza negoziale del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, riduce da 1100 a 1074 miliardi l’ammontare del bilancio Ue e lascia intatto il Recovery, a 750 miliardi tra sussidi e prestiti. «Mi sembra che Michel abbia confermato gli obiettivi di fondo - è stato il commento di Conte — Lavoreremo perché il Next Generation Ue e il bilancio europeo non subiscano indebolimenti».

Sul piano interno le cose proprio bene non vanno. Conte sembra avere tutti contro. Zingaretti, che non ci sta a farsi dare del frenatore da Palazzo Chigi. Renzi, che si è stancato di aspettare segnali di riforma sul fronte giustizia. E Di Maio, il cui incontro con Draghi ha fatto esplodere sospetti e veleni. Conte non commenta e forse il suo silenzio dice già molto.

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