Personale

Gli appalti e la tentazione dell’irresponsabilità

Tra le diverse proposte di semplificazione in materia di contratti pubblici che in questi giorni si stanno affacciando sulla stampa, vi è quella di eliminare la responsabilità per danni inflitti all’Erario dai dipendenti pubblici con condotte gravemente colpose (anche se, in questo caso, piuttosto che di semplificazione è più corretto parlare di deresponsabilizzazione).

Lo scopo principale (seppure non esclusivo) del giudizio di responsabilità erariale è quello di reintegrare il patrimonio dello Stato per i danni inflitti dai suoi funzionari. Tale funzione risarcitoria, peraltro, è declinata con severità molto minore rispetto a quella civilistica: solidarietà passiva e trasmissibilità dell’obbligazione risarcitoria agli eredi sono fortemente limitate e, soprattutto, la Corte dei conti possiede il c.d. potere riduttivo dell’addebito che consente di ridurre l’importo del risarcimento dovuto, tenuto conto del comportamento del dipendente pubblico. A tutto questo si aggiunga che, dal 1996, il Legislatore ha deciso che il pubblico dipendente non risponde dei danni commessi con un’imprudenza, un’imperizia o una negligenza non gravi. In altri termini, se siete in visita ad un museo pubblico e, sbadatamente, vi appoggiate ad un vaso antico facendolo andare in mille pezzi, è molto probabile che dovrete ripagarlo ma, se siete il custode del museo, pagherete solo se verrà dimostrata la vostra colpa grave.

Le giustificazioni di tale regime speciale sono diverse; la più convincente è quella che vi vede un mezzo per limitare la condanna del dipendente pubblico ai soli danni direttamente conseguenti al suo comportamento - con esclusione di quelli riconducibili a fatti organizzativi riferibili all’amministrazione - in modo da rendere la prospettiva della sua responsabilità una ragione di stimolo e non di disincentivo (Corte cost., sent. 20 novembre 1998, n.371). Ma v’è di più. La gravità della colpa è sempre esclusa quando il fatto dannoso tragga origine da un atto che la Corte abbia controllato in via preventiva (infatti, alcune proposte di semplificazione tendono all’ampliamento del novero degli atti da sottoporre a tale tipologia di controllo).

Da cosa deriva, quindi, la c.d. paura della firma del funzionario pubblico, per scongiurare la quale sarebbe opportuna, a detta dei proponenti, l’abolizione della responsabilità erariale per colpa grave? Probabilmente, essa è generata dalla presenza nell’ordinamento di un Pubblico ministero contabile che ha il compito di esigere (in nome e per conto di tutti noi cittadini contribuenti) non solo che i pubblici amministratori non rubino ma, prima ancora, che usino le risorse comuni con la dovuta accortezza.

Indubbiamente è vero che, accanto a tanti dirigenti seri e capaci che non temono la responsabilità derivante all’esercizio delle proprie funzioni, ve ne sono alcuni intimoriti dalle conseguenze patrimoniali di un loro grave errore. La scelta di assecondare o meno (e fino a che punto) tale paura non può che essere del Legislatore, al quale, però, andrebbe ricordato che il controllo della Corte dei conti sul buon andamento dell’apparato amministrativo costituisce uno dei fondamenti costituzionali dello Stato di diritto).

Occorre, quindi, fare molta attenzione affinché insieme ai tanti lacci e lacciuoli (di cui parlava Guido Carli) che ancora oggi avvolgono la macchina dei contratti pubblici non si finisca con il tagliarne anche i meccanismi di controllo: senza dubbio la velocità sarà assicurata ma, con molta probabilità, lo sarà anche il successivo schianto.

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