Ricordate quel giorno? JUVENTUS-PARMA

La rivisitazione di alcune partite giocate dalla Juventus; storie di vittorie e di sconfitte per riassaporare e rivivere antiche emozioni
21.04.2021 10:28 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Ricordate quel giorno? JUVENTUS-PARMA
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© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews

5 gennaio 1992 – Stadio Delle Alpi di Torino
JUVENTUS–PARMA 1–0
Juventus: Tacconi; Carrera e De Agostini, Galia, Kohler e Júlio César; Alessio, Marocchi (dal 63’ Di Canio), Schillaci (dal 73’ Conte), Baggio e Casiraghi. In panchina: Peruzzi, Luppi e Corini. Allenatore: Trapattoni.
Parma: Taffarel; Benarrivo e Di Chiara; Minotti, Apolloni e Grun; Melli, Zoratto, Osio (dall’86’ Catanese), Cuoghi e Brolin (dall’82’ Agostini). In panchina: Ballotta, Nava e Pulga. Allenatore: Scala.
ARBITRO: Luci di Firenze.
MARCATORE: Baggio al 71’.

Dopo la nefasta avventura di Maifredi, la novità è il ritorno di Giovanni Trapattoni sulla panchina della Juventus. Nonostante la non eccezionale l’esperienza con Thomas Häßler, i bianconeri tornano sul mercato tedesco ma per acquistare due difensori di razza: Jürgen Kohler e Stefan Reuter. E almeno nel primo caso indovinano la scelta: Kohler rappresenterà per anni il fulcro della retroguardia. Arriva anche un ragazzotto da Lecce e un portierino da Roma che faranno la storia juventina: Antonio Conte e Angelo Peruzzi. La Juve chiude sia campionato che Coppa Italia al secondo posto: lo scudetto è appannaggio dell’imbattuto Milan, mentre il secondo trofeo nazionale va al Parma, che nella partita di ritorno riesce a rimontare l’1–0 incassato a Torino. La stella della squadra è sempre più Roberto Baggio, autore di diciotto reti in campionato, che si avvia a diventare il giocatore numero uno del calcio europeo.

“HURRÀ JUVENTUS”
Dopo una pausa natalizia di tre settimane, il campionato riprende con la Juventus che ospita il lanciato Parma. Nell’ultimo turno disputato prima della sosta, la squadra emiliana ha agevolmente superato la Roma per 3–1, mentre la compagine bianconera è stata sconfitta a Genova dalla Sampdoria per 1–0. La voglia di riscatto che anima gli juventini si scontra con il solido impianto di gioco del Parma, chiuso in difesa, lucido a centrocampo e pericoloso nel contropiede manovrato. La Juventus si batte con grande impegno accompagnato da altrettanta lucidità. Marocchi, cui Trapattoni ha affidato incarichi di regia, si rivela in giornata di scarsa ispirazione. Schillaci e Casiraghi raramente ricevono palloni buoni per cercare di battere Taffarel. Intorno al ventesimo minuto di gioco, Alessio supera due avversari in dribbling e poi serve Schillaci in area, ma il diagonale del centroavanti si perde sul fondo. Schillaci in evidenza anche in avvio di ripresa. Su assist di Casiraghi il siciliano scatta bene ma conclude male: il suo tiro da favorevole posizione è facile preda di Taffarel. La retroguardia juventina, nella quale giganteggia Kohler (insuperabile sia nel gioco aereo sia in quello rasoterra), non concede spazio agli avanti parmensi e Tacconi raramente è chiamato a intervenire. Le due squadre si temono: nessuna si sbilancia troppo per non favorire la rivale. Il pareggio sembra oramai scritto ma la gara, all’improvviso, ha una svolta al 71’. Minotti interrompe una penetrazione in area di Kohler, però fallisce il rilancio verso Zoratto: Baggio come un falco conquista il pallone, avanza e da circa 25 metri scocca un destro di rara bellezza che sorprende Taffarel. Un autentico capolavoro balistico di Roby regala alla Juventus un importante successo.

“CORRIERE DELLA SERA”
Nella calza della Befana una delle peggiori Juventus di questo campionato trova il terzo goal stagionale di Roberto Baggio (il primo a non provenire dal dischetto del rigore) e, a venti minuti, dalla fine cancella il rischio di perdere altro terreno dalla vetta della classifica. Il Parma, diligentemente intenzionato a vendicare il rovinoso 5–0 incassato un anno fa sullo stesso campo, impartisce lungamente ai più blasonati rivali un’autentica lezione di ordine e lucidità ma dimentica un particolare non trascurabile, cioè che nel calcio conta soprattutto scaraventare il pallone in rete.
«Stiamo migliorando, è quasi la Juve che voglio», aveva proclamato Trapattoni in apertura di 1992, commentando favorevolmente il rendimento della sua squadra nei due tempi dell’insolito torneo di Palermo. Chissà se appesantiti dai festeggiamenti natalizi (ma proprio Trapattoni capeggia la classifica degli allenatori che meno di tutti subiscono le conseguenze negative delle soste di fine anno), i bianconeri hanno esibito invece una povertà di gioco, una scarsità di idee e una mancanza di intraprendenza che soltanto il goal di Baggio, confezionato in collaborazione con Minotti e Taffarel, è riuscito a camuffare sul piano del risultato.
Fino a quel momento, in campo si era visto quasi esclusivamente il Parma. Precisi e puntuali nelle geometrie, gli emiliani sfoderavano una retroguardia che non doveva certo dannarsi per frenare l’impegno soltanto generoso di Schillaci (più volte beccato persino dai tifosi bianconeri, segno che la leggenda mondiale di Totò è proprio arrivata al capolinea) e l’irritante inerzia di Casiraghi, sul quale Scala aveva sacrificato Grun in virtù della sua stazza. Sulle fasce Benarrivo s’incaricava di arginare le velleità podistiche di De Agostini e Di Chiara era protagonista di incontenibili volate che creavano continui imbarazzi ad Alessio. A centrocampo il tandem Zoratto–Osio sopperiva anche alla giornata poco felice di Cuoghi per rifornire di palloni Melli e Brolin. Ma il settore più efficace della Juve targata Trapattoni, si sa, è quello arretrato, dove Carrera non è tipo da fare complimenti, Kohler è un baluardo virtualmente insuperabile e Júlio César un brasiliano abbastanza anomalo, incapace di tocchettare in eleganza ma propenso, se necessario, a proporre vigorose spinte offensive o a scaraventare il pallone in tribuna. Inevitabile che gli spunti di Melli e Brolin finissero per infrangersi prima ancora di imboccare la strada verso la porta di Tacconi.
Se il Parma si faceva apprezzare in ogni zona del campo tranne che nei venti metri finali, la Juve era sicura e autoritaria soltanto nei pressi della propria area. Più avanti, infatti, Galia e Alessio sembravano essere ripiombati nella mediocrità dei comprimari, Marocchi era preoccupato soprattutto di coprire le avanzate di Kohler e Júlio César, De Agostini girava talvolta a vuoto, Baggio era il solito fantasista a corrente alternata e Schillaci e Casiraghi qualcosa di simile a una frana. Non per nulla, l’uscita dal campo della Juve al termine del primo tempo era stata salutata da una sonora e significativa fischiata. Era il 25’ della ripresa e fino a quel momento gli unici brividi li avevano procurati un assist di Alessio malamente sciupato da Schillaci, una rovesciata di Melli a fil di traversa, un tentativo di autorete proposto da Carrera e uno slalom di Di Canio sventato da Taffarel. Pareva quasi impossibile che qualcuno riuscisse a schiodare il risultato da un malinconico 0–0 allorché Minotti, anziché porgere il pallone a Taffarel che lo reclamava, decideva di rinviarlo maldestramente sul piede di Baggio, che azzeccava un destro da venti metri sul quale il portiere brasiliano del Parma si allungava in ritardo. Il Parma si sentiva punito ingiustamente e provava ad abbozzare una reazione rabbiosa, ad alimentare la quale non poteva certo bastare l’ingresso di Agostini, che nella sua breve apparizione quasi non toccava il pallone, imbavagliato anche lui dalla solida retroguardia bianconera. Era anzi la Juve a sfiorare il raddoppio in contropiede ma Taffarel questa volta era bravo a interrompere l’avanzata solitaria di Kohler. Trapattoni, dopo essersi agitato più del solito in panchina, poteva archiviare anche la decima vittoria stagionale, la settima casalinga (con un bilancio da record di quindici punti conquistati sui sedici a disposizione) e scrutare il Milan dalla stessa distanza di due punti. Che fatica, però.

Singolare e colorito il passaggio di consegne in sala stampa al Delle Alpi fra Giovanni Trapattoni, che aveva parlato per primo con i cronisti, e Nevio Scala. Al tecnico della Juve l’allenatore del Parma ha teso la mano in segno di saluto dicendo: «Giovanni, hai proprio un bel culo!». Subito dopo Scala ha spiegato: «Scusate l’espressione, che può sembrare volgare, ma volevo invece soltanto scherzosamente dire a Trapattoni che, per quanto ho visto in campo, il Parma avrebbe meritato di tornare a casa con un punto». Il sanguigno tecnico parmense ha mal digerito la sconfitta: «Non ho nulla da rimproverare ai miei, anche se abbiamo avuto difficoltà nel concludere. Siamo andati a sbattere contro i due difensori centrali bianconeri, davvero molto bravi. Il Parma ha giocato una delle sue migliori partite e, se da una parte la sconfitta ci penalizza oltre misura, la Juve esce dal confronto ridimensionato malgrado il successo. Ai miei avevo chiesto una prova di maturità e l’ho ottenuta, a lungo hanno dato più spettacolo dei rivali. Purtroppo ci ha punito l’errore di Minotti, una leggerezza che non è da lui, fino a quel momento fra i migliori in campo. No, non lo rimprovereremo, anzi cercheremo di coccolarlo ancora di più, perché Minotti è uno dei nostri punti di forza. Purtroppo finisce con un regalo e l’amarezza di un risultato positivo che meritavamo e che non abbiamo saputo raccogliere».
Dopo il tecnico, il presidente Pedraneschi: «Sì, il Parma ha fatto davvero un bel regalo alla Juventus, in occasione della Befana. Ci punisce una sola distrazione, mentre i bianconeri non hanno pagato così care le loro indecisioni. Se Melli poi in area, dopo la spinta di Galia, fosse caduto a terra, l’arbitro probabilmente avrebbe fischiato il rigore, invece Melli è rimasto in piedi». Per la squadra, la parola a Minotti e Melli. Il primo ha spiegato l’errore: «Non ho sentito Taffarel che chiamava la palla, ho saltato Kohler, volevo servire Zoratto, invece, un po’ per colpa mia, un po’ a causa del terreno, la palla è finita a Baggio. Purtroppo la Juve è così, quando sbagli ti castiga». «Questa Juve comunque – ha aggiunto Melli – non vale il Milan, non c’è proprio confronto».

“LA STAMPA”
Tre cosine, sussurrate ai microfoni delle svariate televisioni e radio, e un lungo dribbling verso un giorno di festa, l’Epifania, da vivere finalmente da campione che sa prendere per mano una grande squadra. Il goal di Baggio è valsa ieri la vittoria della Juventus sul Parma, un successo che oramai sembrava quasi impossibile. C’è voluta la firma del fuoriclasse, tutta la sua voglia di lasciarsi alle spalle critiche, talvolta ingiuste. Ma allora Baggio non è più solo un lusso, il tocco di classe s’è trasformato in un goal pesante, da due punti. Un reperto raro, poche volte a Baggio era capitato in carriera di riuscire a sbloccare un risultato, a vincere (come si dice) da solo, ieri ce l’ha fatta, rispondendo direttamente sul campo a chi pensa che la Juventus abbia sbagliato a puntare su di lui, stia sbagliando a crederci ancora. Trapattoni sta portando Baggio a dimensioni internazionali, la risposta del giocatore è condensata in quel tiro da 25 metri che ha lasciato di stucco Taffarel e il Parma. Robertino esce di fretta dagli spogliatoi, evita i primi cronisti, si arrende a fatica a quelli più grintosi, che lo stoppano implacabilmente, anche cattivi, con quella domanda a bruciapelo, allora lei sa anche vincere le partite, sa sbloccare i risultati? Lui si guarda attorno smarrito, la risposta è banale, volutamente forse: «Vuol dire che ogni tanto anch’io so azzeccare il goal decisivo». Una rete importante: «Sì, per me, ma soprattutto per la Juventus, serve a mantenere le distanze dal Milan. Sapevamo che la formazione rossonera stava vincendo di goleada con il Napoli, ma noi eravamo troppo preoccupati dal Parma, che s’è dimostrata una grande squadra, per pensare ai primi in classifica». Perché non ha esultato, subito dopo il goal? «Motivi personali. Voglio dire: non si può pensare dì vincere lo scudetto senza un aiuto esterno. I nostri tifosi ci devono stare più vicini, finché non ci aiutano sarà sempre dura. È’ facile sostenere la squadra quando tutto va bene. Ma la gente deve capire che non sempre è possibile giocare al massimo. E a noi serve da matti l’aiuto del pubblico, i fischi invece non fanno al nostro caso. Ecco perché non ho esultato». Poi, poteva finire così, la solita domandina: centrocampista o attaccante? E la terza, quasi acida risposta dell’asso di Caldogno: «Gioco dove mi pare, dove mi passa per la testa, cioè dove voglio...». E tanti saluti a chi sta ancora a discutere se ha ragione Trapattoni a farlo giocare alle spalle di due punte o i Sacchi, i Vicini o i chi vi pare che fino a ieri avevano schierato Baggio da seconda punta. Forse, ieri, 5 gennaio 1992, alle soglie dei venticinque anni, è nato il vero Baggio, quello che finalmente saprà assumersi la responsabilità di diventare il leader della squadra. Prima di quel grande goal i compagni quasi lo ignoravano, dopo quella prodezza hanno capito che meritava maggior rispetto e tutto, come d’incanto, è stato facile, divertente. Per Baggio e per gli spettatori, per la Juve e per chi ama vedere il pallone tra i piedi dei migliori attori. Come pensare di imbrigliare la fantasia di un fuoriclasse in schemi rigidi? Ha ragione lui: deve giocare dove gli va. E Trapattoni vorrebbe sempre un Baggio così.
Uno show firmato Trapattoni. Questo è il resoconto di quanto è accaduto negli spogliatoi. Tutto è cominciato da una battuta di Scala, allenatore senza peli sulla lingua. «Che fortuna questo Trap». Dove al posto di fortuna bisogna leggere, per la verità, una parolina più condita. La frase del tecnico parmigiano è stata riportata a più riprese all’allenatore juventino. E lui, una, due, tre volte, non ci ha visto più. «Ma quale fortuna – ha infine detto a denti stretti a una cronista di Italia 1 – voi fininvestini tirate fuori sempre queste cose...». Il derby Milan–Juve è oramai entrato nella sua fase più calda. I rossoneri stravincono sul Napoli. E Trapattoni sbotta: «Non avevo dubbi, lo dico da agosto che sono collaudati, giocano insieme da cinque anni, si conoscono a memoria. Lo sappiamo che dovremo correre sul Milan. Ma, guardate, questa nostra vittoria, che vale due punti come la loro, è tremendamente importante. Dimostra che non molliamo. Anzi devo elogiare i ragazzi che non hanno mai pensato di non farcela. In altri tempi, anche recenti, una partita simile non si sarebbe vinta, è la dimostrazione che stiamo imparando a lottare. Dobbiamo ancora migliorare, ma non parlatemi di fortuna». «Allora – continua il Trap – diamo a Cesare quello che è di Cesare e riconosciamo che il Parma nel primo tempo è stato all’altezza della Juventus, l’occasione di Melli pareggia quella di Schillaci. Poi nel calcio ci sono degli episodi che diventano determinanti, il goal di Baggio fa parte di questo tipo di cose. E se loro erano stati più insidiosi di noi ecco che, costretti a dover far gioco, hanno trovato le nostre stesse difficoltà e a creare i pericoli per la porta di Taffarel siamo stati noi con Kohler, Júlio César, Baggio e Casiraghi». L’ingresso in campo di Di Canio è stato decisivo? «Chi, di fronte a uno stagno non ha mai avuto voglia di buttare un sassolino? Io l’ho fatto sapendo che il ragazzo meritava di entrare e fare la sua parte, senza nulla togliere a chi è uscito, nella circostanza Marocchi». Baggio ha segnato una rete capolavoro. «Sono settimane che lo sollecito a provarci, a non aver paura a calciare anche da fuori area. Un conto è dirglielo, un conto è farlo. Dalla tribuna tutto può sembrare facile, non sempre è così sul campo. Sono contento del Baggio visto con il Parma. Sta acquistando fiducia, lo vedo crescere, credo gli siano necessarie ancora cinque o sei partite per sbloccarsi definitivamente». Come mai, secondo lei, Baggio non ha esultato dopo il goal? «Forse non si accontenta, e mi fa piacere. Rientra, lotta su ogni pallone, è vicino alla condizione migliore, quella che aveva in avvio di stagione. I fischi del pubblico possono averlo turbato. Io lo conosco bene il nostro tifoso, per dieci anni ho lavorato a Torino: è esigente. Fischiava anche la grande Juve, nelle giornate storte. Noi possiamo ridiventare grandi, ma è meglio che tutti ricordino che a volte si vince soffrendo, come è accaduto con il Parma». Alessio ha patito troppo il dinamismo di Di Chiara? «Fa parte del gioco, sapevo che sia l’ex viola, sia Benarrivo, sull’altra fascia, sono veloci. Ho visto due volte la cassetta della loro vittoria sulla Roma. È la forza del Parma, per questo è stato difficile finalizzare. Sulle corsie laterali non era facile costruire azioni efficaci e in mezzo oltre a Minotti c’erano i lunghi Grun e Apolloni, non è detto che Casiraghi sarebbe riuscito a sfruttare i cross».