Formaggi a cento euro al chilo e soggiorni nelle grotte. I segreti dell'agriturismo amato da Chiara Ferragni

15 Apr 2024, 12:59 | a cura di
Abbiamo cercato di capire cosa ha di speciale l'agriturismo Ferdy Wild che ha una lista d'attesa di mesi. E abbiamo trovato moltissime cose

Alla scoperta delle molte anime di Ferdy Wild. Qualcuno lo chiama l'agriturismo dei Vip, qualcun altro l'agriturismo dei record, per gli oltre 270mila contatti social, la lista d'attesa infinita, il Guinness di mungitura veloce (nel 2013: 10,7 litri in 3 minuti) o il formaggio a 100 e più euro al chilo. Eppure limitarsi a questo non rende merito a quel che c'è dietro. Perché tutti questi primati sono la diretta conseguenza di un lavoro fatto con rigore e intelligenza che parte da lontano.

L'agriturismo Ferdy

«L'agriturismo l'ha aperto Ferdy nel 1989». Ferdy è il papà di Nicolò Quarteroni, il volto più social di Ferdy Wild. Figlio di un boscaiolo, Ferdy ha sin da subito lavorato per la salvaguardia di biodiversità, il cibo sano, etico, concetti che adesso sono comuni e pure un po' di moda, non 30 anni fa. Invece lui – Ferdy – ci ha creduto sin da allora. «All'epoca nessuno parlava di latte di pascolo, di grass fed o di monta naturale, e ancora oggi è un concetto che difficile da portare a tavola, ma è importante che le vacche abbiano ciclo di vita corretto» fa Nicolò. Stanno in Valle Brembana, a Lenna, un paesino di 600 anime, dove si praticava agricoltura di sussistenza con una forte identità casearia. «Queste sono le Cheese Valleys Unesco» dice orgoglioso. Il merito è di Ferdy, che si è speso per il riconoscimento. A lui si deve anche il Presidio Slow Food della capra orobica. È una capra locale (come la Bruna Alpina Originale) che si arrampica su pascoli estremi e dà pochissimo latte. Ci tengono tantissimo, come tengono a conservare, valorizzare e promuovere questa montagna, così com'è, senza scendere a compromessi.

L'ospitalità

L'ospitalità corre dritta sul filo del rispetto della natura con grande coerenza: «mai avuto bevande commerciali o patatine e non abbiamo mai fatto fumare qui». Inizialmente si scontravano con le richieste dei clienti, la cosa bella, però è che il tempo gli sta dando ragione. Oggi da Ferdy lavorano circa 40 persone con un'età media bassissima, alcuni si occupano solo del mantenimento del territorio, «ma è importante che gli ospiti ci aiutino perché questo sia sostenibile a 360 gradi». Parla di economie, di welfare, di investimenti a favore dei dipendenti, come uno spazio a loro dedicato non promiscuo con il luogo di lavoro, e del sogno che di politiche premianti per iniziative del genere e per chi ha un impatto positivo sul territorio. Loro lo fanno da 30 anni, attraverso un'ospitalità genuina che parte dal territorio e si plasma su di esso. «Questo è un luogo dove si sta bene, che dà serenità, chi viene fino qui sposa la filosofia del posto». Al punto che qualcuno sceglie di andare in alpeggio con Ferdy «Non è per tutti: si vive una giornata senza regole, seguendo le esigenze degli animali. Vivi l'alpeggio in maniera vera, poi torni al ristorante e capisci davvero cosa c'è dietro». Soprattutto cosa c'è dietro a quel carrello di formaggi che in certi momenti dell'anno arriva ad avere 50 tipi diversi, anche con affinature lunghissime, diventato oggetto di culto anche attraverso i social.

I formaggi di Ferdy Wild

I loro formaggi si trovano nei negozi e ristoranti più importanti d'Italia e del mondo, a prezzi che superano facilmente i 100 euro al chilo. Se gli chiedi il motivo di un prezzo così alto, Nicolò ti risponde semplicemente: «quando vedi Ferdy dorme un mese in una grotta per farlo, te ne rendi conto». Hanno res basse e costi di produzione alti, da tutti i punti di vista: «siamo nomadi, tutti i giorni cambiamo prato, pascoliamo in luoghi in cui non arriva né la strada né la corrente, mungiamo a mano in qualsiasi condizione climatica e per 20 vacche servono più di 2 persone, poi il latte viene caricato a spalla per essere caseificato su fuoco a legna e una volta pronte le forme, servono due ore a cavallo per portarle in caseificio. Poi vendiamo praticamente metà produzione: lavorando in modo naturale ci sono forme un po' fallate che teniamo per noi e usiamo al ristorante». Inclusa nel prezzo c'è poi anche la salvaguardia del territorio.

Il loro lavoro è fatto di tante microproduzioni stagionali diverse, a latte crudo e senza fermenti, ci sono paste molli, paste dure e semicotte che restituiscono il ritratto della montagna, della stagione e persino dei loro animali, come lo stracchino di Nonno Cirillo con il latte di 5 vacche: sono 4 o 5 al giorno per soli 2 mesi. Tra capre e vacche hanno circa 4 quintali di latte al giorno, usato per l'agriturismo e il caseificio, ma molto dipende dalla stagione: «in estate, quando Ferdy va su in alpeggio, a volte sono solo 180 litri». Non sempre è sufficiente per evadere tutte le richieste e allora passano la palla ad altri produttori virtuosi, grazie alla filiera dei Supereroi montani che li valorizza e li sostiene dando loro un po' della visibilità di cui gode oggi Ferdy. «La forza è coinvolgere più persone». Per farlo hanno messo in piedi una serie di progetti di comunicazione e divulgazione: dai social in cui affrontano anche temi piuttosto tecnici, al cheese tasting del venerdì che dura ormai da 4 anni, pandemia inclusa, con dirette e spedizioni di formaggio per l'assaggio. «Mi sono tolto anche lo sfizio di fare un piccolo documentario che spiega come si lavora in alpeggio».

Un ristorante, molti progetti

«Cerchiamo di parlare di cheese valleys orobie, perché tutto quel che facciamo costruisca una filiera positiva che rimanga sul territorio» dice Nicolò. È un modo per produrre lavoro e valore in una zona a rischio abbandono dove fino a poco fa i turisti non arrivavano. Tra i progetti anche quello che ha coinvolto 4 chef di montagna (Gilmozzi, Dal Degan, Lazzarini, Ghezzi) in poodcast e video su YouTube e in 4 cene a 4 mani per evidenziare il ruolo della gastronomia sulla filiera montana, con piatti dedicati all'allevamento, ai formaggi, al recupero e alla sostenibilità.

In maniera simile si occupano di vino artigianale e locale, con degustazioni sotto gli alberi e un progetto chiamato Wild Vigneron con vini in edizione speciale creati selezionando le botti o le vigne dei produttori, vini venduti nello shop on line (dove si trova di tutto: dai distillati ai prodotti di bellezza con latte di capra orobica) e usati al ristorante, dove ci sono 60/70 etichette al calice: un lavoro di pairing strettamente legato al concetto di esperienza, particolarmente pensato e studiato per unirsi alla cucina di Ferdy con Vlad Popescu.

La Polpettina 1989

Ma cosa si mangia da Ferdy Wild?

Se pensate a una proposta rustica, siete fuori strada: pur nell'ambito di una ospitalità agricola e montana rigorosa, la cucina è colta, raffinata: «non volevamo banalizzare i prodotti coltivati e fatti crescere con tanta fatica». Il ristorante, nato nel '97, ha al centro della proposta formaggi, erbe spontanee, carne in minima parte e solo di animali a fine corsa, di 13 o 14 anni che non hanno mai visto box o mangimi. Sono carni che richiedono una masticazione importante, difficile da far capire ai clienti, «abbiamo tenuto duro per non scendere a compromessi» come non lo fanno sui prodotti: «se per 3 mesi non c'è bresaola, non c'è. Gi animali sono quelli». Capire che l'alta cucina non è nemica di questo approccio ma offre competenze e ausili importanti è un punto chiave. Nel doppio binario del menu della tradizione orobica (sabato e domenica a pranzo) o di quello più creativo con la carta e tre degustazione (anche veg) raccontano la filosofia non solo gastronomica di questo posto.

Così il fieno diventa uno degli ingredienti feticcio insieme alla farina di corteccia di abete. Si trovano nel benvenuto, uno in infuso con olio essenziale, l'altra nel pane fatto in casa (che va pure con il burro montato, ovviamente autoprodotto) o nel La Me Aca, che ricorda il risolatte: un decotto di latte e fieno, salsa di romice (un lontano parente del rabarbaro), fondo bruno di vacca, una punta di cacao e polvere di corteccia di abete, mentre il cavolfiore è cotto in crosta di fieno, beurre blanc al metodo classico, olio di paruch e caffè di cicoria. Si parte spesso con un brodo chiarificato che impiega i ritagli della cucina, e con la Polpettina 1989, un piatto storico fatto con erbe spontanee dell’alpeggio.

In primavera il menu gioca con il latte e la vacca valorizzando tutto l'animale anche se di carne vera e propria ce ne è pochissima, alla fine, nel resto del degustazione si trovano cose come lo spaghetto cotto nella scocia, il siero di scarto della ricotta, finito con fegato marinato 8 mesi con sale e pepe e poi cotto alla brace, grattugiato come fosse una bottarga; in pratica due ingredienti di scarto, oppure il casoncello vegetale con burro sifonato, cottura in siero e poi cottura nel latte; o ancora il salmerino allevato nei loro laghetti e pescato all'occorrenza dai ragazzi della cucina (guidata dal cognato Marco Bonato e Alessio Manzoni che viene da Agli Amici a Udine, mentre la sorella Alice è all'accoglienza). C'è poi il waffle finissimo con formaggio di un amico e 10 erbe diverse. «È una cucina di gusto, non cervellotica: le persone che vengono qui conoscono già la nostra storia, è importante che poi si godano la tavola» dice Nicolò.

Ed è forse questo il motivo di tanto successo che chiama qui gente comune, addetti ai lavori e tantissimi volti noti: Ferragni, Hunziker, Lautaro Martinez o Belen Rodriguez: se glielo chiedi lui fa spallucce: «vengono perché stanno bene – ma ci tiene ad aggiungere - mai fatto una collaborazione con un influencer o una ospitata. Come azienda abbiamo scelto di avere un nostro canale di comunicazione, ce lo siamo coltivato nel tempo e non vogliamo che ci segue trovi un contenuto che non c'entra nulla con il resto, che magari è più lento a tratti anche più noioso. Ma preferiamo così». Niente da aggiungere? «Sì: non ci chiamare Ferdy l'agriturismo dei Vip, ti prego».

Agriturismo Ferdy - Lenna (BG) - Loc. Fienili, Fraz. Scalvino —  0345 82235 - https://agriturismoferdy.com/it/

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